Per comprendere le istanze dei detenuti italiani e le loro maggiori difficoltà ci siamo rivolti al presidente dell’Autorità garante nazionale dei diritti delle persone private della liberta nazionale, Mauro Palma.
Presidente, quando si parla di detenuti si pensa subito al sovraffollamento. Ma quali sono i problemi maggiori per i detenuti in Italia?
“Questa mattina (giovedì scorso, nda), i detenuti registrati in camera (escludendo le persone in ospedale o in permesso) sono 55.960, mentre la capienza è 51.264. C’è una differenza di circa 4.700 a cui si devono aggiungere le celle inutilizzabili. Quei 4.700 diventano oltre 5.000 detenuti in più. è certamente un problema, ma non ritengo che sia l’unico e neanche il maggiore. I problemi più gravi sono quelli che riguardano l’inutilità del tempo detentivo. Quando questo tempo perde di significato, per l’assenza degli operatori o per la tendenza ad avere in carcere persone con pene molto brevi, diventa inutile per un reinserimento sociale. In carcere ci sono 1.477 detenuti che devono scontare una pena inferiore a un anno. Nella maggior parte dei casi sono persone senza fissa dimora, che rappresentano la povertà. Ne abbiamo altri 2.741 con una pena tra uno e due anni. Il carcere è diventato punto di arrivo di tutte le contraddizioni che dovrebbero essere risolte fuori. Nei nostri istituti ci sono ancora 5.000 italiani che non hanno adempiuto all’obbligo scolastico. Se non ridiamo significato al carcere con maggior organico di area sociale non si risolverà nulla”.
Quali sarebbero le misure che il Governo e la maggioranza parlamentare dovrebbero attuare per cambiare volto ad un sistema più volte ripreso dagli Enti europei?
“La prima misura è avere il coraggio di pianificare un tipo di strutture nei territori, anche con il patrimonio edilizio pubblico esistente, di controllo e supporto per il reinserimento di chi ha pene brevissime. Le carceri devono essere destinate solo a chi ha un profilo delinquenziale maggiore. Bisognerebbe, inoltre, investire di più sulle figure di tipo sociale per non far gravare tutto sulla polizia penitenziaria che finisce per essere l’unico frontline rispetto ai detenuti. La terza cosa è un maggiore investimento nell’istruzione e nella formazione professionale. Bisogna stabilire un contatto di formazione che segua il ritmo del tempo esterno”.
Il non rispetto del principio di rieducazione e reinserimento quanto è grave?
“Vedo che c’è spesso la volontà di assecondare le paure sociali. C’è il rischio di prendere delle decisioni per avere consenso di una società impaurita e non perché effettivamente siano funzionali. Io non sono per il ‘liberi tutti’ ma in carcere sicuramente non ci deve stare solo chi per ignoranza o per assenza di supporto fa reati minori e poi finisce per fare un’educazione interna ai reati maggiori”.
Lo stato dell’edilizia carceraria quanto pesa sulla vita dei detenuti?
“Sul piano dell’edilizia, piuttosto che stare ad immaginare nuove carceri grandi, abbiamo bisogno di un investimento che levi lo stato di fatiscenza degli edifici. Nel regolamento del 2000 c’è scritto che nelle sezioni delle carceri ci deve essere il refettorio. In realtà, ad oggi, tutti mangiano sui letti perché non ci sono questi spazi. Non c’è mai stato un vero investimento”.
Un detenuto ha lo stesso accesso alla sanità di un cittadino libero?
“Dal 2008 la sanità non dipende più dalle singole carceri ma dalle Aziende sanitarie locali. È stato un grande passo in avanti, ma anche qui, c’è bisogno che le Asl investano. Ci sono due principi da tenere presenti. Il primo è che la popolazione detenuta richiede maggior impegno economico rispetto a un campione di popolazione esterno. Su cento persone dentro e cento fuori, ci sono molte più patologie dentro che fuori. Secondo aspetto: è interesse della collettività investire di più oggi perché le persone non ritornino sempre nello stesso modo anche dal punto di vista sanitario”.
Episodi come quello di Santa Maria Capua Vetere, i suicidi, gli eventi sollevati dal Cpt durante l’ultima visita in Italia dimostrano che la violenza in carcere è un’emergenza nell’emergenza: come si potrebbe risolvere?
“Dopo il Covid c’è maggiore aggressività e tensione ma bisogna trovare strategie per diminuirla. Questa aggressività ha due direzioni: violenza verso gli altri e verso sé stessi. Già oggi siamo al 18esimo suicidio in sedici settimane dall’inizio dell’anno. Lo scorso anno ce ne sono stati 85. Sono numeri che fanno pensare. Credo che molto conti l’immagine esterna del carcere. I detenuti hanno la sensazione di essere caduti in un mondo di cui non importa più niente a nessuno, da dove usciranno solo con lo stigma di essere detenuti. Bisogna fare tutto per far vedere il carcere come un quartiere della propria città, problematico e difficile certo, ma non un mondo separato da un muro”.
Quali sono i rapporti con il Dap in seguito al rinnovamento dei vertici dovuto al cambio di Governo?
“Da sette anni sono garante e ho cambiato sei governi. Ognuno di loro ha inciso con la propria visione. Con il capo dipartimento attuale abbiamo grande stima reciproca. Quello che mi tranquillizza è che vedo una persona che sta investendo sul medio o lungo periodo”.
Dal lato politico invece si discute della proposta sull’abolizione del reato di tortura. La vostra autorità come risponde a questa proposta?
“Uno Stato che vuole fare passare il reato più grave ad una semplice aggravante di reati normali non è uno Stato che attua in pieno il mandato della Costituzione. Io ricordo che la Costituzione, in un solo caso dà una norma penale: ‘è punita ogni violenza fisica e psichica sulle persone’. Anche troppo tardi abbiamo introdotto il reato di tortura e con quelle proposte non mi voglio neanche confrontare”.