Irene Chias è siciliana. Dopo aver lavorato come giornalista per diversi anni in Francia e a Milano, adesso vive a Malta. Il QdS l’ha intervistata per commentare il suo romanzo d’esordio “Sono ateo e ti amo” (Elliot, 2010), oggi riproposto da Laurana. L’intervista ci ha offerto l’opportunità di una riflessione sulla condizione della donna.
Qualche giorno fa è stata celebrata la giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza: lo stereotipo duro a morire è quello secondo cui la scienza non è fatta per le donne. Anche la cultura, secondo Lei, soffre le conseguenze di questo luogo comune?
“Il pregiudizio che accompagna le donne è attivo in ogni ambito professionale e spesso anche personale. In alcuni certamente più che in altri. Ci vogliono donne davvero straordinarie per riuscire a superarlo e neanche loro ci riescono sempre, laddove qualunque uomo, anche mediocre, parte avvantaggiato dall’esserne libero”.
Lei è a favore delle quote rosa?
“Le quote femminili (ho sempre trovato il termine rosa piuttosto derisorio) sono una soluzione imperfetta per un mondo ingiusto. Quindi sì, sono favorevole. È inutile raccontarci che quando veniamo scartate l’unico criterio è il merito dei nostri colleghi maschi. Lo stesso vale per tutti gli ambiti di discriminazione, nei quali le affirmative action si sono rivelate uno strumento politico molto importante per le minoranze e per i gruppi tradizionalmente discriminati. Penso al razzismo negli Stati Uniti, o alle discriminazioni contro i dalit in India. Ovviamente riflettono l’ingiustizia che tentano di riparare e dovrebbero essere concepite come un tamponamento temporaneo, una strada verso una società più giusta che – insieme all’istruzione e ad altri strumenti politici – possono concorrere a creare”.
L’essere donna ha mai rappresentato un ostacolo nel suo percorso professionale?
“Non sono mai stata orientata alla carriera, quindi non saprei. Di certo ha reso alcune circostanze più complesse o spiacevoli. L’interazione con il personaggio di Mimmo Mennulato in Sono ateo e ti amo è un esempio realistico delle situazioni spinose in cui può trovarsi una donna in cerca di lavoro. Posso dire che nel mio ambito professionale ho visto molti uomini mediocri scavalcare donne più meritevoli di loro e molti capi trattare con molto più favore e riguardo colleghi uomini cui veniva accordata in automatico una maggiore credibilità. Una volta, durante un colloquio per un quotidiano che stava per nascere, mi venne anche chiesto se fossi “fidanzata”, cosa che a un uomo non sarebbe mai accaduta. Il quotidiano comunque è fallito dopo qualche mese”.
Che donne sono le protagoniste del suo libro e come nasce l’idea di questo suo romanzo?
“Sono ateo e ti amo è il mio primo romanzo, fatto di storie che si sono certamente nutrite della mia esperienza personale. La storia di Ulna, in particolare, riflette le tribolazioni affrontate da una giovane donna di comprovata professionalità che tenta di tornare a vivere in Sicilia e riporta abbastanza fedelmente alcuni dialoghi fra me e potenziali datori di lavoro a Palermo. Adele rappresenta lo smarrimento di chi, pure viaggiando in Paesi lontani, si porta frammenti di una terra dalla quale vive distante. Elena è invece il risvolto dolceamaro di un ritorno dovuto a una situazione dolorosa, dalla quale però scaturisce la forza per un cambiamento importante”.
Qual è il suo rapporto con la Sicilia?
“Oggi è molto più sereno e risolto di qualche anno fa, di quando ad esempio ho pubblicato questo romanzo. Qualche tempo fa il mio amico Pap Khouma, scrittore di origine senegalese ormai italiano, disse durante la presentazione di un mio libro che io gli sembravo più “emigrata” di quanto non fosse lui. E probabilmente è stato davvero così per molto tempo. Dopo anni all’estero e a Milano, vissuti forse con una sensazione di incompletezza, sono andata oltre il ritorno, essendo andata a vivere a Malta”.
Twitter: @PatriziaPenna