Difendersi o no? Questo dilemma sta attraversando tutte le menti di Israele, dalle élite politiche ai vertici militari, dallo scrittore intellettuale al panettiere. Se Israele darà una risposta dura, immediata, visibile, entrando a Gaza, per tentare di liberare gli ostaggi e colpire i terroristi, sprofonderà in una palude senza possibilità di ripiego. Un bagno di sangue senza tempo definito.
Questo porterà acqua al mulino dei terroristi di Hamas, nuove reclute e nuovi adepti ed emulatori, in Cisgiordania e in Libano. Non attaccare Gaza però sarebbe visto come un segno di debolezza di uno Stato ebraico non più capace di difendersi e contrattaccare. Il rischio che anche Hezbollah, o altri gruppi, si organizzino per colpire uno Stato ormai visto infiacchito.
Inoltre Israele era già spaccato, socialmente, culturalmente, politicamente. La leadership di Netanyahu era già compromessa da scandali, Knesset legiferava su mettere sotto controllo la magistratura per le inchieste sugli scandali del potere, tutto questo senza una costituzione materiale di riferimento. Finora non c’era stato bisogno di una Costituzione materiale, lo spirito di Ben Gurion, dell’Haganà, della rivoluzione contro il protettorato inglese del 1948, lo spirito sabra dei pionieri era la Stella di Davide che ispirava il Grande Israele. Poi le migrazioni di askenaziti verso Israele, e altre diverse interpretazioni della Torah, lo spirito religioso ebraico senza una Chiesa e un Papa che faccia sintesi, la dissoluzione, anno dopo anno, dello spirito laico di impronta socialista come i primi Kibbutz, che era lo spirito originario dello Stato, hanno confuso e diviso gli israeliani, fiaccandone lo spirito di corpo.
Un Paese diviso può essere l’Italia, perché alle porte ha la Svizzera e l’Austria, non certo piene di jihadisti. Ma Israele dalla fondazione, la prima guerra contro gli Arabi è proprio dello stesso anno della nascita dello Stato, è un Paese che vive in uno stato permanente di emergenza. E quando nel 1973, durante lo Yom Kippur, ha abbassato la guardia fu colpito duramente. Sono passati esattamente 50 anni e nulla sembra essere cambiato. Nonostante gli accordi di Camp David, nonostante i tanti tentativi che ogni mediatore americano, l’Europa è sembrata sempre incapace di difendere questo Stato Occidentale in Medio Oriente, ha cercato di mettere in campo, la situazione torna sempre al 1948.
Israele non può stare lì, non per i palestinesi, ma per tutti quelli che credono nella Guerra Santa. È un offesa all’esistenza di Allah, secondo tutti i fanatici del mondo musulmano, ma anche per qualche europeo. Ma dopo la distruzione da parte romana di Gerusalemme, dopo Masaada, dopo 2000 anni di diaspora e pogrom ovunque andava questo popolo eletto e maledetto, dopo un Olocausto che fa piangere quando lo vedono in televisione anche coloro che a sinistra ritengono fascisti gli israeliani, gli ebrei dove devono vivere? Perché gli orientali, dalla Russia agli Arabi, non li vogliono, gli occidentali ne hanno sterminato, compresi i complici francesi, ucraini e italiani, 6 milioni, loro cosa devono fare
Se sparano su Gaza sono fascisti e cattivi, se stanno fermi verranno a poco a poco sterminati con uno stillicidio costante, quale scelta ha il popolo prediletto dal Signore, e forse per questo odiato dagli altri monoteisti, cosa possono o devono fare? Ve l’immaginate cosa succederebbe se si arrendessero ed emigrassero in Europa? Uno scenario che farebbe rabbrividire le cancellerie di tutti gli Stati dell’Unione. Anche perché gli ebrei istruiti non sono manodopera a basso costo che raccoglie pomodori come i Nigeriani, o fa turni massacranti in Mercedes come i Curdi. Quanto ci metterebbe a montare l’antisemitismo se conquistassero aziende o banche? Pure i neutrali svizzeri gli farebbero guerra.
È terribile il dilemma di Israele, i muri non hanno funzionato, le integrazioni non si possono fare con chi non si vuole integrare, cosa fare? È veramente tragico essere il popolo eletto, sa di maledizione.