ROMA – L’aliquota agevolata Iva al 10% deve intendersi riservata al solo servizio pubblico di erogazione. In base alla normativa in vigore ed ai documenti di prassi dell’Agenzia delle Entrate, l’aliquota applicabile all’acqua “minerale” (22%) è superiore a quella applicabile su taluni prodotti certamente meno essenziali, come la Nutella (10%).
Le acque distribuite commercialmente possono essere: minerali, di sorgente e destinate al consumo umano.
La questione, che è stata oggetto di un interpello da parte di un contribuente, riguarda proprio “l’acqua di sorgente o acqua da tavola” per la quale l’istante pensava di potere applicare l’aliquota Iva ridotta del 10%, ritenendola assimilabile all’acqua destinata al consumo umano. Al riguardo l’Agenzia delle Entrate, con risoluzione n.11 del 17 gennaio 2014, ha fornito il suo contributo interpretativo, seppure con una interpretazione limitativa dell’area di applicazione dell’aliquota del 10% sull’acqua.
Giova ricordare che, in base alla Tabella A, parte terza, punto 81, l’aliquota ridotta nella misura del 10% è applicabile sui seguenti prodotti: “acqua, acque minerali (v.d. ex 22.01)”.
L’articolo 5 del Dl. 15/9/1990 n.261, però, ha previsto l’applicazione dell’aliquota Iva ordinaria “per le cessioni e le importazioni di acque minerali”. Il problema sta nel fatto che la normativa italiana mantiene distinte, disciplinandole diversamente, le acque minerali e le acque di sorgente (le cui caratteristiche sono definite nel Dlgs n. 176/2011), dalle acque destinate al consumo umano (le cui caratteristiche sono invece delineate nel Dlgs n. 31/2001).
L’Agenzia, nella risposta all’interpello, ha ricordato le disposizioni che hanno stabilito l’aliquota agevolata del 10% per le cessioni di “acqua, acque minerali (v. d. ex 22.01)”, ossia il n. 81) della Tabella A, parte III, allegata al Dpr n. 633/72, nonché quella che ha stabilito l’applicazione dell’aliquota ordinaria sull’utilizzazione e la commercializzazione delle acque minerali naturali, ossia l’articolo 5, comma 3, del Dl.. 261/1990.
Ha proseguito ricordando pure che la normativa non fiscale contiene un’accurata definizione delle “acque minerali naturali” e delle “acque di sorgente”, definendo le prime come quelle che, avendo origine da una falda o giacimento sotterraneo, provengono da sorgenti naturali o perforate e che hanno caratteristiche igieniche particolari ed eventualmente proprietà favorevoli alla salute. Queste ultime, più in particolare, si differenziano dalle ordinarie acque potabili per la purezza originaria e la sua conservazione, per il tenore in minerali, oligoelementi o altre caratteristiche come la necessità di essere tenute al riparo da ogni rischio di inquinamento, nonché dalla circostanza che la composizione, la temperatura e le altre caratteristiche essenziali delle acque minerali naturali debbono mantenersi costanti alla sorgente nell’ambito delle variazioni naturali, anche in seguito ad eventuali variazioni di portata.
Le “acque di sorgente”, invece, sono quelle destinate al consumo umano, allo stato naturale e imbottigliate alla sorgente, che, avendo origine da una falda o giacimento sotterraneo, provengono da una sorgente con una o più emergenze naturali o perforate. Su quest’ultimo prodotto l’Agenzia delle Dogane, con parere del 12 settembre 2012, si è espressa classificandolo nell’ambito del capitolo 22 “Bevande, liquidi alcolici e aceti”, voce 2201 “Acque, comprese le acque minerali naturali o artificiali e le acque gassate, senza aggiunta di zuccheri o di altri dolcificanti né aromatizzanti; ghiaccio o neve”; codice Nc 22019000 – “altre”.
Nel suo parere, l’Agenzia delle Dogane, nell’illustrare le differenze che esistono tra l’acqua di sorgente e le acque minerali, ha osservato comunque che l’acqua di sorgente, nonostante “dal punto di vista microbiologico, presenti caratteristiche di purezza molto simili a quelle delle acque minerali e per questo motivo non necessita di alcun trattamento”, tuttavia dal “punto di vista chimico l’acqua di sorgente segue pienamente la legislazione delle acque potabili (D.lgs. 31/2001) secondo la quale è tollerata la presenza di piccole contaminazioni di origine antropica (solventi clorurati, trieline, metalli pesanti come il cromo) assolutamente proibite in un’acqua minerale naturale e che, se presenti anche a livelli di limiti chimici delle acque potabili, farebbero revocare immediatamente lo status di acqua minerale”. Quindi, in entrambe le tipologie di acqua (minerale e di sorgente) si possono rilevare caratteristiche molto simili.
La Direzione centrale normativa, però, con la risoluzione in commento, ha concluso che l’aliquota agevolata del 10% è applicabile soltanto ai corrispettivi dovuti per la erogazione di acqua “potabile” e “non potabile”, erogata ai titolari di contratti di fornitura sottoscritti con i Comuni (o con le società autorizzate all’erogazione del servizio), mediante l’allacciamento alle condotte idriche della rete idrica Comunale.
Non è possibile, invece, estendere il suddetto trattamento fiscale agevolato, di stretta interpretazione, alle cessioni di acqua di sorgente o acqua da tavola, chimicamente simile all’acqua potabile, ma commercializzata al pari delle acque minerali, per le quali, conseguentemente, torna applicabile l’aliquota ordinaria, attualmente del 22 per cento.
Importante, comunque, è stata la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Torino (n. 1333/03/19 del 12 novembre 2019) la quale, contrariamente ad altre pronunce di merito, ha ritenuto di non potere prescindere da quanto previsto dalla direttiva europea n. 2006/112/Ce del 28 novembre 2006 e da altre indicazioni fornite dalla Commissione europea, pronunce secondo le quali la normativa mira a tutelare “l’erogazione di acqua” intesa come “servizio generale di erogazione idrica”, realizzato attraverso una diffusa rete idrica pubblica, diretta a soddisfare un’esigenza di primaria importanza, sia per i singoli utenti sia per i servizi pubblici destinati all’intera collettività. Viceversa, sempre secondo i giudici di merito del capoluogo piemontese, non pare neanche lontanamente paragonabile a tale tipo di distribuzione quella realizzata tramite la normale rete commerciale che risponde, più che a pubbliche esigenze di consumo, a dinamiche di sfruttamento commerciale e a logiche di profitto. Quindi, Iva 10% solo sull’acqua “di rubinetto”.
Con la risoluzione n. 11, comunque, anche l’Amministrazione finanziaria si è resa conto della confusione esistente delle difficoltà interpretative che esistono per sapere se sull’acqua sia applicabile il 10 o il 22 per cento, tant’è che, con la stessa risoluzione del 2014, anche tenendo conto delle disposizioni contenute nell’articolo 10 dello Statuto del contribuente (tutela dell’affidamento e della buona fede, specialmente in presenza di norme di dubbia interpretazione), considerata l’attuale diffusione della commercializzazione di acque da tavola e l’assenza in merito di chiarimenti ufficiali, l’Agenzia delle Entrate ha fatto presente che nel caso in questione può trovare applicazione l’esimente di cui all’articolo 6 del Dlgs. 18 dicembre 1997, n. 472, nel senso che non sono applicabili sanzioni per il comportamento seguito (applicazione dell’Iva nella misura del 10%) prima del chiarimento.