Sembra che in Sicilia sia partita la corsa all’oro, come nel famoso Klondike americano alla fine del ‘800. Cercatori di metallo giallo si armano di picconi e padelle per setacciare lo Yukon della politica siciliana. Sì, perché in un’isola che stenta ancora tanto ad avere una sana cultura del lavoro, dell’impresa, del merito, vige ancora la cultura della raccolta del consenso.
L’occasione è la resurrezione delle province, commissariate da ben 11 anni con poche righe di abrogazione da parte del governo Crocetta, e da allora commissariate, per facile esercizio dell’intermediazione del potere di chi a turno nomina i commissari. Ma intanto i compiti delle cosiddette aree vaste sono abbandonati a se stessi, a pochissimi dirigenti e funzionari non ancora andati in pensione, a 4 soldi di bilancio perché le risorse sono state dirottate ad Enti più rappresentativi. Tutto questo ha portato all’abbandono di 14.000 km di strade provinciali, in molto casi uniche vie di collegamento, o fuga in casi di calamità, per i quasi 400 Comuni della Sicilia, la regione più grande d’Italia, più grande dello Stato di Israele, con 9 volte la popolazione della Macedonia del Nord.
Si vuole – a differenza delle altre regioni italiane – andare al voto diretto per gestire questi Enti, norma già bocciata dalla Corte, che come gli scecchi ripresenteremo. Perché? Perché speriamo che questo sia un viatico per una norma nazionale, unica soluzione per superare i rilievi della Consulta dopo la famosa Del Rio. Ma perché siamo così ostinati in Sicilia? Perché 338 poltrone che i soggetti politici possono promettere ai loro portatori di consenso sono fondamentali, altre partecipate dove piazzarli non ce n’è; anzi, la Corte dei Conti le vuole chiudere. E quindi apriamo un concorsone della politica, con in palio i posti di Presidente, consigliere provinciale, assessore. Considerando l’effetto moltiplicatore e le tante formazioni politiche si possono mettere in moto circa 30.0000 persone a cercare l’oro del voto, che in Sicilia vale più di quello a 24 carati. E per la moltitudine che non ce la farà c’è sempre la pirite del credito politico, a seconda dei voti conquistati, da spendersi successivamente alle regionali. Cosa che fa preoccupare gli attuali deputati regionali, stimolare concorrenti più che sottoposti. Ma perché non andiamo al voto indiretto, senza comizi elettorali come nel resto d’Italia? Perché quel sistema nell’insussistenza dei partiti è un terno al Lotto, che non consente tavolini e risultati predeterminati, rischiando di buttare l’attuale politica siciliana nel caos. La corsa partirà se entro novembre la norma elettorale verrà approvata e non immediatamente stoppata da Palazzo Chigi. Chi ci guadagnerà? Sicuramente tipografie ed affissionisti, sempre che i debiti vengano saldati. Le strade siciliane? Continueranno a essere sfossate e gli isolani a cascarci dentro.
Così è se vi pare.
Iscriviti gratis al canale WhatsApp di QdS.it, news e aggiornamenti CLICCA QUI