Pezzi di Pizzo

La Penelope italiana

Il telaio è sempre in azione, e non è una battuta, ed i Prodi – Proci sempre a fare inutile festa, Penelope continua a tessere instancabile fà e disfà governi da mane a sera. La Penelope italiana è Matteo Renzi che è bravissimo nel fare ma soprattutto nel disfare. Ieri in una battuta da fiorentino guelfo lo ha proprio detto, presso il Teatro Massimo, massimo perché è il più grande in Italia, simbolo di una Palermo Capitale.

“Mi sto cominciando a stancare di fare cadere i Governi”, con un sorriso beffardo che non promette nulla di buono per il futuro. Il mood di questi ultimi anni gli ha affibbiato l’etichetta dell’antipatico, e lui ci si è adattato ancora meglio di quando faceva il simpatico.

L’uomo è veloce, sagace e dotato di un acume che non ha eguali in Italia, e questo è un limite che già il Divino Giulio aveva sperimentato. Gli è bastata una improvvida battuta del prestato alla politica Conte per schiacciare la palla, come i pallavolisti italiani al Mondiale, e prendersi la scena per il rush finale di campagna elettorale. Conte re, non certo alla Ruggero, dei diseredati e Renzi Principe dei ceti produttivi.

Un paese in preda ad una dicotomia tra chi lavora e chi è assistito, tra chi sta con la Cortina di Ferro e chi è vicino a Macron e all’occidente. Ne ha per tutti Renzi, era a fianco ad un teatro e si è preso la scena come Fiorello. L’imitazione più riuscita è quella di Berlusconi, che lui tratteggia con affetto quasi da nipote irriverente, tra tik toc e milioni di alberi, dentiere, pentole e Bimbi per cucinare.

Poi c’è Il suo vecchio partito, che ha abbandonato ormai il suo spirito riformista, cancellando le norme sul lavoro legiferate dal PD in cambio di quelle pentastellate, trattato come un farmaco generico dei 5stelle. Si permette di sfottere sapientemente Letta, che doveva dare ascolto a Bettini il thailandese “fallo prima l’accordo con i 5stelle non dopo quando non vinci nemmeno un collegio!”. L’unica cosa che sa dire Letta, secondo Renzi, per dire qualcosa di originale, è “Noi proponiamo di aumentare le tasse!”

Poi la stoccata a chi lo definisce l’uomo che odia i poveri. Quando diventò Presidente del Consiglio Letta gli lascio in cassa per la povertà un budget di venti milioni, lui lo trasformò in due miliardi e settecento milioni. Ma le povertà sono altre e più complesse, sono povertà educative, sanitarie, sono servizi mancanti, sono ceti medi impoveriti. Lui a quelli si rivolge, in una terra che fu democristiana. Può, dice Renzi, un ex democristiano votare Fiamma, e ardere al fuoco ideologico del sovranismo di Orban? Chi è Orban non è un Re, ma solo uno stolto, è la perifrasi.

Renzi punta a fare risultato a macchia di leopardo, gli bastano pochi seggi, soprattutto al Senato, per ingaggiare un Vietnam. E si sa chi vinse tra Ho Chi Min e gli invasori, che per lui sono Meloni e Salvini, che tratta come un compagno di classe che non ha studiato. Renzi è antipatico, salace, ruvido come solo i toscani sanno essere. Ma è il grillo, minuscolo, parlante della Politica italiana, lo davano improvvidamente per morto, ma da abile giocatore di poker ha sparigliato e si presta a giocare la sua posta al prossimo giro. Avanti un altro, dopo Bersani, Letta, Conte, vediamo chi cade dalla Torre di Chigi a questo giro.

Cosi è se vi pare.