Questo è un paese veramente particolare. L’Italia ha, insieme ad un sommerso non positivo, sempre tante energie nascoste. Che poi, non tanto improvvisamente, dopo un accurato lavoro, vengono fuori.
Domenica abbiamo conclamato la nostra forza, la nostra pazienza, il nostro orgoglio, la nostra tenacia. Siamo i più forti d’Europa.
Gli italiani sono un popolo di grandi individualismi, di Santi, poeti e navigatori. Tutti ruoli in cui si è soli e da soli si devono trovare fonti alte per ispirarsi. Il nostro individualismo ha anche, perché non siamo tutti santi e poeti, caratteristiche estremamente negative, siamo divisi e divisivi, faziosi e con modesto civismo, siamo più familisti, in senso non positivo, che comunitari. Siamo segmentati per bande, nicchie, contrade, corporazioni, logge e conventicole. Siamo gli italiani delle mafie e delle contrade rissose del Palio di Siena. Siamo capaci di accoltellarci sotto i portici tra guelfi e ghibellini, tra interisti e juventini. Perdiamo il senso di cosa è giusto ed utile ad una comunità nazionale. Non facciamo squadra, come fanno maggiormente altri popoli. In questo europeo abbiamo fatto esattamente il contrario. Abbiamo fatto squadra più di altre volte. Questa nazionale, nel suo fare gruppo, nell’essere omogenea ed intercambiabile, duttile ma compatta, mi ha ricordato un’altra nazionale, che non aveva solisti di eccellenza, campioni o fuoriclasse, ma aveva un grande allenatore Enzo Bearzot. Era la nazionale del 1978 che arrivò terza ai mondiali argentini. Era L’Italia del dopo austerity, di un paese diviso dal terrorismo. Nei momenti difficili o duri cominciano a giocare. E questa Italia lo ha fatto con pazienza, che non per niente viene da Phatos, con amicizia, spirito di condivisione e fatica. Con schemi differenti rispetto al passato, Roberto Mancini ha plasmato una squadra azzerata dalla nostra classica capacità di autodistruzione, nel dopo Ventura. La sua squadra non ha perso una partita, ha giocato in mezzo al campo con un possesso palla impressionante per le caratteristiche del consueto gioco italico. Mancini aveva, da grandissimo giocatore quale è stato, una visione ed una strategia e con un gruppo di vecchi, ma altrettanto competenti amici, che lo hanno collaborato, cito Vialli per tutti, l’ha messa in campo e ha vinto.
Questo paese ha un altro grande attaccante che fa oggi l’allenatore, si chiama Mario Draghi. Lui la squadra non se l’è fatta, o almeno non del tutto. Ha dovuto mediare perché le scarse squadre del campionato della politica non gli hanno fornito nomi all’altezza del campionato europeo che si chiama Rinascita. E continuano faziose ed inutili a tentare di mettere bandiere divisive sul campo di gioco più importante per L’Italia e per l’Europa. Se l’Italia non cambia e riparte L’Europa che ha investito su di noi resta al palo della competizione mondiale. Dobbiamo smettere di essere anello debole per la catena e fare come la nazionale di calcio.
Un’ultima annotazione tra un divisivo, imbolsito, non eccelso e contraddittorio rapper campato dalla moglie, ed un solare, affascinante, educato, gigantesco e formidabile Berrettini non c’è dubbio chi scegliere.
Forza Matteo a Wimbledon lo hanno gridato pure i comunisti. Quelli veri, non Fedez.
Giovanni Pizzo