Le isole che formano l’arcipelago siciliano sono belle tutte. Ognuno di noi ha la sua preferita, per ricordi particolari, per incontri seducenti, perché ci ha fatto un buen ritiro. Chi ama Pantelleria e chi Ustica, chi Lipari, e chi Favignana.
Ma Lampedusa è un mondo a parte. È lontana, lontanissima, eppur più raggiungibile di altre. Se parte un aereo. È un mondo differente, si capisce appena atterri che non sei in Italia, in Europa, in Occidente. Che sei in un territorio di nessuno, ma che sa di due Continenti. Sei ai confini del mondo, circondato da un mare assurdo. Sembri in una piscina disegnata nel Mediterraneo. La forma dell’isola è una zattera che galleggia tra l’Africa e l’Europa. In quest’isola le persone sono diverse, diventano diverse, come se l’isola fosse un fungo allucinogeno. La varietà di personaggi strani, di forestieri che rimangono intrappolati come Ulisse nell’Odissea delle loro vite, di turisti che piangono come la pubblicità di Costa crociere al momento di andarsene.
È impossibile non amarla, non struggersi per lei, per i tuffi in quell’acqua cristallo, trasparente, azzurra, chiara come la canzone di Battisti. Indipendentemente se hai incontrato le bionde trecce o meno, Lampedusa è amore vero. Che ti fa pensare a lei d’inverno, e venire costantemente voglia di ritornarci. Goodbye Lamp.
Così è se vi pare.
Immagine d’archivio