Stavano andando a calare la rete verso la costa nord di Lampedusa i pescatori Giuseppe Del Volgo e il figlio Salvatore, quando intorno alle 16,30 hanno visto persone che si sbracciavano per attirare la loro attenzione in cerca di aiuto. I Del Volgo, con la loro piccola barca di poco più di sette metri, hanno quindi compreso che quelle persone aggrappate agli scogli di Capo Ponente erano migranti e che quindi da quelle parti c’era stato un naufragio.
“Quando siamo arrivati a Capo Ponente abbiamo visto dei migranti che facevano segnali per recuperarli – racconta al Quotidiano di Sicilia Giuseppe Del Volgo – ma c’era ‘mare’ e non siamo riusciti ad attraccare per prendere le persone; però abbiamo chiamato il soccorso ed hanno mandato delle motovedette per recuperarli”.
Iscriviti gratis al canale WhatsApp di QdS.it, news e aggiornamenti CLICCA QUI
Infatti, chiamati i soccorsi mediante il numero unico 112, le autorità hanno detto loro di non intervenire – eventuali tentativi di soccorso sarebbero stati pericolosi per gli stessi pescatori – e che sarebbe arrivata immediatamente la Guardia Costiera. Così è stato, e la piccola barca “Giusy”, dei due pescatori lampedusani, ha ripreso la propria rotta verso il punto di pesca prefissato. Giunti sotto la costa nord, in località Muro Vecchio, racconta Giuseppe Del Volgo, padre di Salvatore, con il quale era andato a pescare, “sullo scoglio abbiamo trovato due ragazzi, messi lì, che ci facevano segnali; ma erano messi… insomma, si vedeva che non stavano bene”.
I ragazzi, come ce li descrive il soccorritore di fortuna lampedusano, erano di etnia centroafricana e pareva avessero grossomodo tra i 17 ed i 18 anni. “Però a volte sembrano più grandi – dice Del Volgo – e poi si rivelano più piccoli: questi si vedeva che erano ragazzini“. Nel frattempo si erano già fatte le cinque del pomeriggio, il sole stava per tramontare ed il buio non avrebbe aiutato nessuno. Al massimo avrebbe instillato ancora più paura nei naufraghi ragazzini che avevano davanti due possibili salvatori
I pescatori, tra l’altro, avevano calato le reti attenendosi a quanto le autorità avevano loro comunicato. “Salvatore, torniamo indietro – ha quindi detto Giuseppe al figlio – perché io non li lascio, che si sta anche facendo buio”. Così, malgrado le obiezioni del figlio che ricordava cosa avevano detto loro le autorità, il signor Del Volgo si è assunto le responsabilità del caso: “Io li prendo, poi quello che vogliono fare fanno”.
“Ci siamo andati vicino e si sono tuffati subito in mare”, racconta ancora Giuseppe Del Volgo che però aggiunge: “ma… ne abbiamo recuperato uno che stava andando a fondo e per fortuna siamo riusciti a prenderlo”. Uno dei due giovani superstiti del naufragio sapeva nuotare, secondo Del Volgo, ma l’altro, che aveva una camera d’aria con se come ciambella di salvataggio, non sapeva nuotare e se padre e figlio sono riusciti a salvarlo è stato grazie a quella camera d’aria oltre che alla tempestività dell’intervento dei soccorritori che hanno anche subito lanciato in mare una cima per tirarlo a bordo. Presi a bordo della loro piccola barca, i pescatori hanno dato coperte ai naufraghi e qualcosa con cui rifocillarsi, “ma si vedeva che non stavano bene”, aggiunge Giuseppe Del Volgo.
C’era mare agitato, e da incomparabili conoscitori del mare, e in particolare di quello intorno a Lampedusa, i due pescatori lampedusani hanno quindi deciso di navigare fino allo scalo alternativo di Cala Pisana, evitando così il mare di Libeccio che è molto più grosso dalla parte del porto primario dell’isola. “Dall’altra parte il mare era brutto e non mi sono permesso di arrivare fin li, perché magari stavano male ed ho voluto evitare: ho deciso di approdare a Cala Pisana”, racconta Del Volgo spiegando che ha avvertito le autorità dell’arrivo allo scalo alternativo e che era stata predisposta una ambulanza per i due ragazzi.
“Per fortuna è andato tutto bene: hanno bevuto, hanno mangiato un po’ di pane, li ho fatti sedere accanto al motore, dove c’era più calore, e si sono scaldati un po’ sotto le coperte – perché erano tutti bagnati – e pian piano vedevamo che si stavano riprendendo; poi abbiamo visto che andavano via con l’ambulanza”.
La barca sulla quale tentavano la fortuna i 53 migranti, stando alle prime sommarie ricostruzioni, pare si sia imbattuta nel mare mosso di Libeccio, senza un marinaio esperto a bordo e spinta dalla corrente – non è chiaro se in avaria o comunque ingovernabile per altre ragioni – si è spinta fino alle vicinanze della scogliera da cui non è possibile arrampicarsi, ed è colata a picco tra le onde.
In quel particolare punto dell’isola le correnti sono più forti, e spesso si formano spinte da miniatura di Scilla e Cariddi, come nello Stretto di Messina. Passaggio fatale per la barca dalla quale i più forti, se non fortunati, sono riusciti a raggiungere la scogliera di Capo Ponente, i due ragazzi salvati dai Del Volgo avranno subìto la corrente e nuotando sono finiti in altro impervio punto dell’isola, mentre i meno fortunati risultano dispersi e deceduti.