Il prossimo 10 febbraio saranno trascorsi trentasei anni dal giorno in cui a Palermo si aprì il Maxiprocesso a Cosa nostra.
Nella grande aula bunker costruita in tempi record per accogliere centinaia di persone tra imputati, giudici, avvocati e giornalisti, si celebrò l’atto decisivo con cui lo Stato riuscì per la prima volta a portare alla sbarra capi mafia, esecutori e conniventi che avevano insanguinato il Paese e la Sicilia.
Davanti alla Corte d’Assise presieduta dal giudice Alfonso Giordano, con a latere Piero Grasso, e gli otto giudici popolari furono portati 475 imputati accusati di omicidi, traffico di droga, rapine, estorsione, e ovviamente la neoistituita associazione mafiosa.
Il “gotha” mafioso delineato dalle indagini portate avanti per anni dal pool antimafia dei giudici Falcone e Borsellino, e che per la prima volta si avvalse del contributo di importanti collaboratori di giustizia, come Tommaso Buscetta e Salvatore Contorno.
Il Maxiprocesso fu definito, per proporzioni, un vero e proprio “mostro”, destinato a rappresentare una pietra miliare nella storia della Giustizia italiana, entrando nell’immaginario collettivo come il momento in cui la Legge riuscì ad affermare la sua supremazia sul malaffare.
Dopo 349 udienze, 1.314 interrogatori e 635 arringhe difensive, il momento culminante di questo importante episodio della Repubblica italiana fu la sentenza, letta dal presidente Giordano il 16 dicembre 1987, al termine dei 35 giorni di camera di consiglio (la più lunga della storia giudiziaria). Furono 346 i condannati e 114 gli assolti; 19 gli ergastoli e pene detentive per un totale di 2.665 anni di reclusione. La sentenza venne accolta unanimemente come un duro colpo a Cosa nostra.
Il valore del Maxiprocesso, in questi quattro decenni, ha travalicato i “semplici” confini della Giustizia. L’iter che condusse a quella sentenza, oggi – anche grazie all’importante opera di memoria collettiva portata avanti da centinaia di pubblicazioni documentaristiche – ha marcato infatti con forza i propri connotati di evento storico.
Un patrimonio culturale non solo dei siciliani, ma di tutti i cittadini onesti. Ed è proprio dalla gente che nasce l’iniziativa di dar vita ad una petizione online affinché quell’aula bunker, ancora oggi rimasta senza un nome, e chiamata confidenzialmente “l’astronave” per via della sua architettura, possa essere intitolata al Presidente Alfonso Giordano, scomparso il 12 luglio del 2021.
Una proposta che sta registrando unanime consenso tra cittadini, con centinaia di adesioni, e istituzioni e che si spera possa divenire presto realtà.