Lavoro

Lavoro nero, evasione e illegalità, in Sicilia allarme rosso

PALERMO – Il 16,8% del valore aggiunto prodotto in Sicilia nasce da una economia sommersa. Una percentuale altissima, che pone la regione al quarto posto tra le regioni italiane. Prima di lei, solo la Puglia (17%), la Campania (17,7%) e la Calabria (18,8%).

Lavoro nero in Sicilia, ecco quanto vale

I dati sono quelli dell’Istat rielaborati dalla Cgia di Mestre: in Sicilia il 6,7% del valore aggiunto è sotto dichiarazione, un termine che si riferisce a quella parte dell’economia sommersa realizzata anche tramite occultamento del fatturato o errate comunicazioni dei costi sostenuti.

Il 6,6% è invece il cosiddetto “lavoro irregolare”, cioè l’occupazione non dichiarata dalle aziende; in ultimo, l’Istat definisce un residuale “alto”, pari al 3,5%, che comprende anche altri aspetti non individuati con le due tipologie precedenti, quali gli affitti in nero o le mance non dichiarate. In questa voce è compresa anche l’economia “illegale” che non comprende la valutazione economica dell’economia criminale, ma solo di quella relativa ad attività illegali come il traffico sostanze stupefacenti, la prostituzione e il contrabbando di sigarette.

L’Isola si trova ben al di sopra della media nazionale, che si attesta all’11,6%. Per comparto territoriale, i numeri più alti riguardano il Mezzogiorno al 16,8%, poi il Centro al 12%, e quindi il Nord Ovest al 9,2% e il Nord Est al 9,8%.

Evasione, un “affare” da miliardi di euro

Dati che, secondo la Cgia di Mestre, dovrebbero limitare molto l’entusiasmo che potrebbe nascere dai numeri resi noti dal ministero dell’Economia e delle finanze e dall’agenzia delle entrate, che ha ricordato che l’anno scorso l’erario ha incassato, rispetto al 2021, 68,9 miliardi in più di entrate tributarie e contributive, ha recuperato 20,2 miliardi di evasione e ha “bloccato” 9,5 miliardi di frodi. Questo maggior gettito, pertanto, ammonta complessivamente a 98,6 miliardi di euro. Un importo che ha una dimensione leggermente inferiore alla stima dell’evasione fiscale e contributiva presente in Italia che, secondo le stime, ammonterebbe attorno ai 100 miliardi di euro. Come sia stato raggiunto tale risultato, è complesso da spiegare: una quota preponderante dei 68,9 miliardi incassati in più sono riconducibili al buon andamento dell’economia verificatasi l’anno scorso che include un importo sicuramente contenuto ma ogni anno in costante aumento, ascrivibile agli effetti della compliance fiscale.

Non basta: “Chi è completamente sconosciuto al fisco continua imperterrito a farla franca – scrivono dalla Cgia – così come le organizzazioni criminali di stampo mafioso che sempre con maggior dedizione seguitano a coltivare i propri traffici illegali. Poco ‘sensibili’ alla fedeltà fiscale lo sono anche quelle multinazionali e i giganti del web che, in Italia, realizzano profitti miliardari, ma la stragrande maggioranza delle imposte le versano nei paesi a elevata fiscalità di vantaggio”. Allo stesso tempo, non si può dimenticare che le imprese italiane siano tra le più tartassate d’Europa dal punto di vista fiscale.

Nel confronto con i principali Paesi Ue, purtroppo, la percentuale del gettito fiscale riconducibile alle aziende italiane sul totale nazionale è nettamente superiore, ad esempio, a quella tedesca, francese e spagnola. Se nel 2020 in Italia ha raggiunto il 13,5% (garantendo un gettito di 94,3 miliardi di euro) in Germania era al 10,7% (144, 8 miliardi di imposte versate), in Francia al 10,3% (108,4 miliardi versati) e in Spagna al 10,1% (41,7 miliardi di gettito). Rispetto alla media europea scontiamo oltre 2 punti percentuali in più.