Tanta gente va a lavorare come se dovesse scontare una pena, per cui si affligge, si rabbuia e quasi si dispera.
Perché questo stato d’animo nei confronti dell’attività lavorativa? La prima risposta che sentiamo è: “Perché quel lavoro non piace”.
Allora cosa impedisce a ciascuno di noi di cercare il lavoro che ci piace? La seconda risposta che sentiamo è: “Non si trova”. Noi non lo crediamo. Il lavoro che ci piace esiste, bisogna saperlo cercare e quindi saperlo trovare, una volta che si hanno le idee chiare.
Ovviamente tutto questo non è così semplice, perché non basta cercare il lavoro che ci piace. Occorre fare uno screening molto esteso di tutte le possibilità che il mercato offre e poi prepararsi, formarsi, educarsi per affrontare i relativi ed eventuali ostacoli.
Insomma, basta mettere in moto quella macchina prodigiosa che è la nostra volontà. La volontà di fare, di realizzare, di riuscire a raggiungere i risultati che ci proponiamo, anche con una piccola dose di fortuna.
In primo luogo, bisogna capire che il nostro piacere di fare un determinato lavoro non può essere assoluto, perché non c’è un lavoro che ci possa piacere totalmente, per aspetti negativi, difficoltà, incongruenze e tanti altri fattori che non corrispondono ai nostri desideri.
Non c’è nulla al mondo che sia solo positivo o solo negativo. Ogni faccenda, circostanza o evento ha i suoi più e i suoi meno. Se non siamo convinti/e di questa realtà è inutile cercare il lavoro che ci piace in assoluto, perché non esiste.
Quindi, occorre essere realisti/e, accettare di fare sacrifici, rubare ore al sonno e ai divertimenti per metterci in condizione di evolvere professionalmente.
Ribadiamo ancora questo principio: in tutto ciò che accade nella realtà, in quella vera, non c’è nulla che sia solo positivo perché, per la legge dei contrappesi, per ogni fatto positivo ve n’è uno negativo.
Questa doverosa premessa vuole sgombrare il campo da tutti i blablatori che cercano scuse di ogni genere per spiegare che non trovano lavoro o non trovano un lavoro a loro adatto, anche perché spesso non riescono ad adattarsi al lavoro.
In questo quadro, gioca molto l’esempio dei propri familiari e quello di tanti altri di cui notiamo i comportamenti. Vi sono persone che lavorano in silenzio, con soddisfazione, affrontando le difficoltà; ma ve ne sono anche altre che si lamentano sempre e che della lamentazione fanno un uso quotidiano.
Si tratta di discernere con buonsenso ciò che è giusto da ciò che è ingiusto, ritenendo di sopportare anche delle avversità, che però siano compatibili con ciò che intendiamo fare e col lavoro che comunque abbiamo scelto.
È proprio questa la posizione mentale: una volta scelto il lavoro con i suoi pro e i suoi contro bisogna manifestare gioia per i risultati che si ottengono, perché “un lavoro senza gioia produce solo noia” e, come sempre, la gioia non può essere assoluta, ma, anche se parziale, può ripagare chi fa.
Il guaio è che tanti vorrebbero mangiare solo la polpa e gettare tutto il resto. Va però considerato il tutto e non solo una parte di esso.
Per esperienza personale posso dire che, nelle tante attività che ho fondato in sessantasei anni di lavoro, ho trovato avversità di ogni genere. Scrivo questo non per raccontare i fatti miei, probabilmente poco interessanti, ma per testimoniare che ciò che scrivo non è teoria, ma è conseguenza di fatti, di atti, di notti passate in bianco, di periodi lavorativi di sedici ore al giorno perché tutto questo era finalizzato a raggiungere un obbiettivo.
Solo se raggiungiamo l’obiettivo che ci siamo preposti/e, cioè il risultato, possiamo misurare la nostra capacità. Checché se ne possa dire o pensare, sono solo i risultati che misurano il merito. Come abbiamo più volte scritto sull’argomento: “Tutto il resto è noia”.
Dunque, animo e coraggio, non abbattersi mai, guardare sempre il bicchiere mezzo pieno, minimizzare le difficoltà. Tutto questo fa parte di una mentalità che ci deve consentire di affrontare il presente e il futuro con ottimismo, avendo fatto a monte le scelte migliori per noi.