PALERMO – Le abilitazioni all’insegnamento conseguite in Romania sono da considerarsi valide all’interno del nostro ordinamento.
Il principio è stato stabilito del Consiglio di Stato, nella sentenza n.01198 del 13 febbraio 2020, che ribalta l’orientamento giurisprudenziale fino a quel momento prevalente, accogliendo il ricorso di un insegnante contro la sentenza n. 10401 del 2019, emessa dal Tar Lazio.
Nel dettaglio le abilitazioni all’insegnamento conseguite in Romania non sono state più riconosciute in Italia in base all’avviso del ministero dell’Istruzione n.5636 del 02 aprile 2019.
Tra le conseguenze più evidenti, immediatamente successive all’emanazione dell’avviso ministeriale, sono stati i numerosi depennamenti di docenti, anche, siciliani, abilitati in Romania, dalle graduatorie del concorso scuola 2018.
Prima che l’avviso ministeriale fosse stato pubblicato lo stesso Governo rumeno aveva diffuso una nota di chiarimento, in cui si affermava che “sul riconoscimento delle qualifiche professionali per i cittadini europei, che hanno studiato in Romania, al fine di svolgere l’attività didattiche all’estero, si rilascia al richiedente solo nel caso in cui quest’ultimo ha conseguito sia gli studi di istruzione superiore/post secondaria sia gli studi universitari in Romania”.
La sentenza del Consiglio di Stato, esprimendo nella sostanza un orientamento differente dall’avviso ministeriale, stabilisce che i principi e le norme di origine sovranazionale impongono di riconoscere in modo automatico i titoli di formazione rilasciati in un altro Stato membro al termine di formazioni, a condizione che la durata complessiva, il livello e la qualità delle formazioni a tempo parziale non siano inferiori a quelli delle formazioni continue a tempo pieno. Premesso questo, i giudici hanno sottolineato, nella sentenza, che una volta acquisita la documentazione che attesta il possesso del certificato conseguito in Romania, non può negarsi il riconoscimento dell’operatività in Italia.
L’eventuale errore delle autorità rumene sul punto, secondo i magistrati italiani, non può costituire ragione e vincolo per la decisione amministrativa italiana; ciò, in particolare, quando il titolo di studio reputato insufficiente dalle Autorità di altro Stato membro è la laurea conseguita presso un’università italiana.
Piuttosto, le Autorità nazionali sono chiamate a valutare la congruità delle formazioni conseguite all’estero, nei termini chiariti dalla giurisprudenza europea, di conseguenza, non occorre, secondo il Consiglio di Stato, nemmeno sottoporre la questione alla Corte di giustizia europea, considerata la chiarezza dei principi e delle norme europee.
La sentenza sarà da stimolo a nuovi ricorsi per tutti coloro che in passato stati esclusi per le medesime ragioni. Il nuovo orientamento giurisprudenziale condizionerà, sicuramente, i prossimi concorsi nel mondo della scuola, che si svolgeranno nel 2020 e dovrebbero prevedere, con modalità e tempistiche differenti, l’assunzione di oltre 30.000 insegnanti.