Pezzi di Pizzo

Le donne e la politica siciliana

Quante donne sindaco ci sono nei capoluoghi di provincia siciliani? Neanche una. Quante sono diventate Presidente della Regione? Neanche una. Quante Presidente dell’Assemblea regionale? Neanche una. Quanti capogruppo donna ci sono in Ars? Neanche una. Ce n’era una, Marianna Caronia, ma ha dovuto lasciare, rappresentava solo sé stessa, il suo gruppo no. Era tutto di uomini, e non la pensavano come lei. La stampa invece di capire le ragioni della sua difficoltà ad esercitare il suo diritto a fare politica, a rappresentare altre donne, ha solo parlato dei suoi cambi di partito. Ad emarginazione si aggiunge disprezzo, ridicolizzazione, sottovalutazione.

Una quarant’anni fa in effetti diventò Sindaco di Palermo, curava i bambini, era un medico, gli misero una bomba nella casa in campagna, durò poco. Si chiamava Elda Pucci, e c’è un bellissimo spettacolo di Ottavia Piccolo su di lei, ma a Palermo non si è praticamente visto. Le donne in politica non si vedono, non si devono vedere, devono, le poche, stare defilate dietro a segretari di partito, tutti uomini. La maggior parte delle donne in politica sono consiglieri comunali, questo solo perché la Sicilia 11 anni fa è stata costretta a recepire la doppia preferenza di genere nelle elezioni comunali.

Questa imposizione normativa ha fatto passare da circa 500 consiglieri comunali donna ad oltre 3.500. Ovviamente togliendo spazio agli uomini, che non sono affatto contenti di ciò. La stessa norma non è stata recepita, anche se vigente ovunque in Italia, per le elezioni regionali, ed il parlamento siciliano rispecchia questa linea maggioritariamente maschile, se non maschilista visto il rifiuto di recepire la norma. Quale uomo vuole ridurre le sue chance? Nella giunta regionale sono solo da questa legislatura presenti obbligatoriamente in numero di quattro. Nelle altre regioni è cisi da tempo. Non c’è equivalente norma per le giunte comunali, come nel resto del paese. Quando il recepimento andato al voto, i maschi si sono rifiutati ed hanno rimandato nel limbo la norma. Le donne sono poche e riescono, soprattutto sulle norme e sulle risorse finanziarie, ad incidere molto poco rispetto ai colleghi maschi.

La donna, se va bene, nel contesto politico è tollerata, se non dà troppo fastidio, se sta dietro ad un uomo, se non parla, comunica, chiede troppo. Se no, se dice la sua, se alza la testa, viene emarginata, ridicolizzata, apostrofata secondo canoni maschilisti, approcciata violentemente, se non molestata psicologicamente o meno. È così pure in altri contesti, ma questi non sono istituzionali o rappresentativi della società. La sua visibilità nella comunicazione politica siciliana è pochissima, e quasi sempre per tematiche di genere, e non generaliste. Da questo possiamo definire la Sicilia l’ultimo baluardo del patriarcato? Darsi la risposta sembra semplice.