ROMA – Un team di ricercatori di Enea, Università di Verona e Viterbo, Cnr e Iss ha proposto di utilizzare le piante come ‘biofabbriche’ per produrre vaccini, anticorpi e prodotti diagnostici contro il Covid, con l’obiettivo di soddisfare la domanda nazionale in modo rapido, efficace e a costi contenuti.
L’iniziativa prevede l’utilizzo del Plant Molecular Farming, una piattaforma innovativa ma robusta e già utilizzata in altri Paesi per ottenere biofarmaci.
Il progetto è descritto nello studio “Plant Molecular Farming as a Strategy Against Covid-19 – The Italian Perspective”, pubblicato sulla rivista internazionale “Frontiers in Plant Science”.
“I ricercatori – si legge nella notizia pubblicata sul settimanale EneAinform@ – si focalizzano, in particolare, sulla possibilità di realizzare nel nostro Paese strutture per produrre ‘in pianta’ le biomolecole necessarie per lo screening diagnostico di massa, l’immunoterapia passiva e la vaccinazione, da utilizzare non solo per il Covid, ma anche per eventuali future nuove pandemie”.
“Le simulazioni effettuate confermano che il Plant Molecular Farming potrebbe integrare efficacemente i metodi di produzione ‘tradizionali’ e per soddisfare l’intera domanda italiana di bioterapeutici (vaccini, anticorpi) e diagnostici basterebbe una serra di 12.500 metri quadri o un impianto di agricoltura verticale (vertical farming) di soli 2.000 metri quadri”, sottolineano i ricercatori Enea.
Sul fronte costi, le stime effettuate evidenziano che la realizzazione di tali strutture richiederebbe un investimento iniziale notevolmente inferiore rispetto a quello necessario per gli impianti produttivi tradizionali basati su biofermentatori per cellule di insetto o di mammifero.
Tra gli esempi di farmaci realizzati grazie alla tecnologia del Plant Molecular Farming, vi è un vaccino per l’influenza stagionale basato su particelle simil-virali (Vlp, “virus-like particles”, particelle che mimano il virus ma innocue perché prive di capacità infettive) attualmente in via di commercializzazione da parte di un’azienda canadese che ha anche avviato la sperimentazione clinica di un vaccino contro il Covid.
Enea è attiva da oltre vent’anni con infrastrutture, laboratori, piattaforme tecnologiche e know-how per la ricerca in questo settore tecnologico e in particolare nello sviluppo di molecole di interesse farmaceutico come vaccini (compresi vaccini genetici potenziati da sequenze vegetali), anticorpi antitumorali, ma anche test e saggi diagnostici, come quello messo a punto in passato per il coronavirus della Sars.
Collagene prodotto con la lavorazione degli scarti del prodotto ittico. È l’obiettivo del progetto Bythos che mira ad ottenere collagene da utilizzare soprattutto in ambito cosmetico e farmacologico.
L’iniziativa sarà realizzata dal Comune di Lipari, che punta a realizzare un laboratorio, a Canneto in località S. Vincenzo, insieme alle Università di Palermo e di Malta, al Distretto Pescaturismo e Cultura del Mare, al Ministero per lo Sviluppo Sostenibile per l’Ambiente e i Cambiamenti Climatici, Dipartimento della Pesca e dell’Acquacoltura di Malta, e ad AquaBioTech Ltd.
“In un’ottica di trasformazione della materia da scarto a risorsa, da costo da smaltire a produzione di valore, secondo una concezione di economia circolare – spiega il sindaco Giorgianni – queste attività di trattamento e di estrazione delle molecole bioattive (incluso il collagene e gli omega 3 e 6) dagli scarti del pesce saranno svolte, una volta ultimati i lavori, presso il laboratorio biotecnologico di Canneto che rimarrà anche quale centro dimostrativo permanente a disposizione di tutti gli stakeholder”.
“Così dopo un lungo percorso e un perseverante lavoro – conclude – si concretizza un’opera di grande importanza che vede il nostro territorio protagonista su un tema di altissimo valore”.
Le mascherine facciali usa e getta usate per prevenire la diffusione del Covid-19 potrebbero essere riciclate e utilizzate nei lavori di costruzione del manto stradale.
Ricercatori australiani del Royal Melbourne Institute of Technology hanno sviluppato il materiale combinando mascherine triturate e calcestruzzo demolito. Lo studio, pubblicato sulla rivista Science of the Total Environment, mostra che il materiale per costruire un km di strada a due corsie utilizzerebbe 3 milioni di mascherine, prevenendo la discarica di 93 tonnellate di rifiuti.
La mistura di aggregato di calcestruzzo riciclato e delle mascherine permetterebbe la costruzione di strade “migliori, più forti e più flessibili”, scrive il responsabile della ricerca, Muhammad Saberian della scuola di ingegneria civile dell’Istituto. È conforme agli standard di sicurezza dell’ingegneria civile e aiuterebbe a smaltire la gran quantità di rifiuti generati dai dispositivi di protezione dal Covid.
Il materiale delle mascherine offre benefici tecnici quando è usato nelle costruzioni, spiega Saberian. “Abbiamo bisogno di strade flessibili, per meglio sostenere i carichi del traffico, e questo materiale aggregato offre buone proprietà di flessibilità. Siamo stati ispirati dall’idea di studiare soluzioni di economia circolare per ridurre i rifiuti generati dalla pandemia”.