Tra gli anni ‘20 e ‘30 del novecento il Circolo di Praga, un movimento euroasista di cui faceva parte il geografo Pëtr N. Savickij, ipotizzò che il confine naturale della Russia a ovest corrispondesse all’isoterma zero gradi di gennaio, una linea che include la Norvegia, la Svezia, la Finlandia le repubbliche baltiche, la Bielorussia e l’Ucraina.
Dopo il crollo dell’URSS Mosca ha subìto l’allargamento della NATO ad est, ma già da una quindicina d’anni ha ricominciato a recuperare il terreno perso.
Georgia, Siria, Crimea, Libia, Kazakistan e adesso, in modo clamoroso, Ucraina non sono nient’altro che il ritorno della Russia a una politica estera antica quanto l’impero degli Zar, mai cambiata neanche durante il regime comunista. Si fa fatica a pensare che la Russia senta ancora la paura dell’invasione di Napoleone e di Hitler, eppure è questa una delle giustificazioni dell’invasione della guerra in corso. Mentre l’Europa ha investito sul benessere, la Russia si è riarmata e i fatti di questi giorni dimostrano quanta ragione avessero i paesi dell’est Europa a volere l’ombrello della NATO per evitare di tornare più presto che tardi oggetto delle mire Russe. Non per caso nella seconda guerra mondiale i baltici si schierarono con i tedeschi contro i russi. Ciò mette in evidenza quanto debba essere più assertiva la richiesta dell’Unione Europea ai paesi di Višegrad di rispettarne le regole.
L’alternativa per loro è tornare nell’area di influenza russa, non di essere indipendenti. Il mondo evolve sotto i nostri occhi e a volte la storia si mette a correre. L’Unione Europea sta cogliendo il momento per fare quello che non era mai riuscita a fare: dotarsi di una vera politica estera e di difesa comune, l’unico modo per contare nel mondo. Le azioni che adesso si può compiere sono di natura politica, economica, diplomatica e militare e ogni componente moltiplica l’impatto del precedente, per questo l’invio di armi è importante più per fermare la guerra che per continuare a farla.