Editoriale

Le scuole tecniche co-gestite da imprese

La lamentela generale e comunicativa riguarda la mancanza di lavoro. Pochi, però, hanno interesse a dire la verità: non è vero che non c’è lavoro, ma è vero che non ci sono competenze in chi cerca lavoro.

Da tante parti d’Italia sorgono grida di dolore perché non si trovano tecnici dei vari settori, esperti informatici e digitali, autisti di tir, mastri nel settore edilizio e delle costruzioni, anche di infrastrutture, e via enumerando.

Se tanti giovani e meno giovani, anziché blaterare sulla mancanza di lavoro si dedicassero all’apprendimento delle innovazioni e delle nuove tecniche, riuscirebbero ad acquisire gli strumenti con cui il lavoro si troverebbe.
Ci vogliono buona volontà e spirito di sacrificio e la disponibilità a sudare parecchio, non solo per essere pronti a lavori tradizionali, ma anche per tutti i lavori innovativi. Ci sono decine di attività che in Europa spariranno nei prossimi cinque anni, sostituite da nuove attività. Bisogna prepararsi al nuovo.

Per queste gravi carenze, la Scuola ha una grande responsabilità perché, contrariamente a quanto avviene in Germania, ai ragazzi, anche maturandi, si insegnano nozioni teoriche, fuori dalla realtà, inneggiando alla cosiddetta cultura, come se essa fosse composta solo di questioni teoriche. La cultura è anche infarcita di attività pratiche, che si debbono conoscere.

Soprattutto negli Istituti tecnici superiori (Its) la Scuola dovrebbe procedere alla professionalizzazione dei ragazzi. Ma tale professionalizzazione non può essere data dai professori perché – di massima – non ce l’hanno. Nessuno può trasferire qualcosa che non ha. Dunque, il ministro dell’Istruzione dovrebbe porsi il problema di come fare per professionalizzare gli allievi degli Its.

In Germania, come prima si accennava, negli ultimi due anni i ragazzi sono co-gestiti dalle imprese e vanno a trascorrere mesi e mesi in quei luoghi ove non solo apprendono come si fa a produrre beni e servizi, ma anche il modello organizzativo, nonché i criteri di efficienza e di capacità per raggiungere risultati, cioé la cultura del fare e del fare bene.

Non risulta che nel nostro Paese il ministero dell’Istruzione abbia fatto convenzioni con le organizzazioni imprenditoriali dei diversi settori (industriale, commerciale, agricolo e dei servizi) per trasferire parte dei ragazzi degli ultimi due anni nelle aziende, ovvero chiedere a imprenditori e manager di fare corsi nelle scuole in affiancamento ai professori di materie teoriche che non hanno dimestichezza con il lavoro concreto.

È vero che vi sono Its che svolgono anche attività pratiche, come gli industriali e gli alberghieri, ma è anche vero che ve ne sono tanti altri che continuano a occuparsi di ciò che è scritto nei libri e non di quello che si fa nel mondo del lavoro.

In altri termini, dovrebbe essere varato un piano congiunto che preveda una sorta di co-gestione degli Its fra docenti e imprese. Solo così i ragazzi potrebbero arrivare alla maturità e quindi alle soglie del mondo del lavoro in possesso di una sommaria cognizione di quello che avviene colà.

La questione che poniamo non è di poco conto, anzi la riteniamo primaria, perché il futuro dei giovani bisogna prepararlo dalle scuole, nelle quali dovrebbero essere insegnati, oltre agli oggetti delle diverse materie, anche i valori etici, che devono essere sempre presenti nella Comunità e anche quando si lavora. Fra essi, il merito, la responsabilità e la produttività. Guai a chi ciancica, a chi farfuglia, a chi perde tempo quando si sa che esso va utilizzato al meglio, non solo per le attività lavorative, ma anche per quelle diversive, nonché per l’ozio creativo.

In questi settant’anni del nuovo corso del nostro Paese, la scuola non è stata innovata, anzi si è sempre più burocratizzata, anche per l’immissione dei cosiddetti precari che non sono stati selezionati da un concorso pubblico, come prevede l’articolo 97 della Costituzione.

È venuto il momento di guardare avanti con decisione, con concretezza e con senso di responsabilità.
Prepariamo i giovani al lavoro (nuovo) e al futuro.