La Sicilia è la sesta regione italiana per produzione di energia termoelettrica e, come in altre regioni d’Italia, il suo mix energetico si è sviluppato prevalentemente attorno alla produzione e consumi di energia elettrica derivante da gas fossile. Si pensi che, a fronte di 16,8 TWh di energia elettrica lorda prodotta nel 2021, ben 11,2 TWh, ovvero il 66,6% del totale è stata prodotta da impianti a fonti fossili e solo il 33,3% da fonti rinnovabili, al di sotto della media nazionale pari al 38%.
L’alternativa alle fonti fossili c’è ed è fatta di una nuova economia, basata sull’uso efficiente delle risorse e sulla produzione di energia da fonti rinnovabili ma è necessaria un’alleanza per la costruzione un nuovo modello socio-economico, dove giustizia sociale e climatica siano attuati insieme anche con la creazione di nuove filiere occupazionali o la riconversione di quelle esistenti. Se la transizione ecologica italiana andrà in questa direzione potrà contribuire davvero a tutelare l’ambiente, creare nuova occupazione, realizzare nuovi impianti di economia verde e aiutare famiglie e imprese a ridurre il caro bollette. Sul fronte occupazionale l’Italia, secondo l’ultimo Rapporto Green Italy di Fondazione Symbola e Unioncamere, vantava a fine 2020 oltre 3,1 milioni di occupati in green job. La spinta che può arrivare dalle rinnovabili, in coerenza con il pacchetto europeo REPowerEU, secondo l’associazione confindustriale Elettricità Futura, garantirebbe 470.000 nuovi posti di lavoro entro il 2030, in aggiunta ai 120.000 di oggi. Secondo Fondazione Enel e The European House – Ambrosetti in Italia il percorso verso emissioni nette pari a zero entro il 2050 creerà 2,6 milioni di nuovi posti di lavoro.
Dell’importanza delle rinnovabili si è parlato oggi nel corso del Forum Regionale QualEnergia, organizzato a Palermo, nell’ambito della seconda edizione di Sicilia Carbon Free, il progetto di Legambiente Sicilia dedicato all’efficienza energetica e fonti rinnovabili. “Gli effetti della crisi climatica – dichiara Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, presente al Forum – sono ormai evidenti anche nel nostro Paese e la Sicilia, tra ondate di calore, alluvioni, uragani mediterranei, incendi e terreni in via di desertificazione, è al centro di questa emergenza, che possiamo risolvere solo rottamando le fonti fossili e spingendo al massimo le politiche di efficienza e lo sviluppo degli impianti a fonti rinnovabili, coinvolgendo I territori. Le regioni del Sud e le Isole dovranno dare il contributo maggiore per decarbonizzare il sistema elettrico nazionale, grazie alla grande insolazione e al forte vento. Le Regioni devono però autorizzare molto più velocemente gli impianti eolici a terra e quelli fotovoltaici, sui tetti e sui terreni agricoli col moderno agrivoltaico che non consuma suolo. Vanno velocizzati anche gli iter autorizzativi per gli impianti eolici offshore che possono dare nuove opportunità anche alle attività portuali. È il momento delle scelte da parte della politica. Non perdiamo questa grande opportunità, anche in termini occupazionali, nella parte del Paese che ne ha un gran bisogno.
“La nostra Regione – dichiara Anita Astuto responsabile Energia e Clima di Legambiente Sicilia – si trova al centro di molte delle dinamiche che abbiamo visto esplodere in questi ultimi mesi, con l’acuirsi della crisi energetica iniziata ben prima della guerra in Ucraina. I costi alle stelle dell’energia per famiglie ed aziende, la crisi del polo petrolchimico di Siracusa, sono tutte figlie di una visione miope che non osa immaginare un’economia siciliana fuori dal modello energetico fossile. La sua posizione è divenuta più strategica (nell’ottica del ricercare l’indipendenza dal fornitore russo) come principale territorio di transito delle importazioni di gas fossile provenienti dal Nord Africa con l’approdo dei gasdotti Transmed a Mazara del Vallo e Greenstream a Gela (rispettivamente dall’Algeria e dalla Libia). Appare evidente, quindi, quanto complessa sia in Sicilia la transizione energetica e quanto la consapevolezza di un’economia radicata negli idrocarburi necessiterebbe non di aperture di tavoli di crisi, ma di costruzione di nuovi scenari avvalendosi di strumenti “meccanismo per una transizione giusta” con il Just Transition Fund a disposizione di quei territori dove l’impatto socioeconomico della transizione va attenuato per “non lasciare indietro nessuno”. Se non vogliamo rischiare di prendere il peggio da questo cambio epocale, il peggio in termini occupazionali e di restaurazione di un’economia basata sul fossile che ha comunque i giorni contati, è necessario costruire una strategia e per farlo bisognerebbe innanzitutto che i decisori politici e le parti sociali in primis raggiungessero la consapevolezza che la rivoluzione del modello energetico avverrà comunque, che lo si voglia o no”.