Les juges sont la bouche de la loi, diceva Montesquieu (1689-1755), cioè “i giudici sono la bocca della legge”, nel senso che essi debbono applicare i testi normativi che vota il Parlamento, eletto dal Popolo.
Va inoltre ricordato che, ai sensi dell’articolo 104 della Costituzione italiana, i giudici fanno parte dell’ordinamento e non costituiscono un potere. Risulta del tutto evidente la grande differenza fra potere e ordinamento, cosicché non vi può essere conflitto in quanto un ordinamento non può confliggere con un potere.
Giovanni Giolitti, da ironico saggio, soleva dire: “La legge si applica ai cittadini e si interpreta agli amici”. Anche questo è un argomento da tenere presente perché esso non risulta vero in quanto i giudici sono costretti a interpretare la legge per poi applicarla.
L’incipit vuole commentare la diatriba che è nata in conseguenza del decreto del tribunale di Roma n. 42/251 del 18 ottobre 2024, firmato dalla giudice Luciana Sangiovanni.
Abbiamo letto – com’è nostro costume, perché pensiamo con la nostra testa e non con quella degli altri – le sei pagine che compongono lo stesso decreto e dobbiamo dire che il filo logico è molto valido.
Questo cita l’articolo 37 della direttiva europea 2013/32 e soprattutto la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea – Grande sezione del 4 ottobre 2024, causa C-406/22.
E qui dobbiamo inserire un’osservazione di non poco conto. Tale sentenza è scritta in francese, per cui nella traduzione alcune “finezze” che la giudice riporta potrebbero cambiarne il senso. Nello specifico, relativamente al fatto che un Paese insicuro per una certa parte, diventa insicuro per tutto il suo territorio.
Dobbiamo invece rilevare che “Il Fatto Quotidiano”, nel suo articolo pubblicato il 19 ottobre, cita come estensore del decreto 42/251 la giudice Silvia Albano, mentre – come abbiamo precedentemente scritto – la giudice che lo ha firmato è Luciana Sangiovanni. L’autore ha sbagliato o l’errore è voluto per poter dire che la Albano è la presidente di Magistratura democratica, la corrente di sinistra?
Vi è un’altra falla nella precedente normativa e cioè che l’elenco dei diciannove Paesi considerati insicuri dalla magistrata, ma che per il Governo erano sicuri, era contenuto in decreti interministeriali che non hanno valore di legge di primo rango. Se tale elenco fosse stato contenuto in una legge, molto probabilmente la giudice non avrebbe potuto fare a meno di osservarla e quindi il suo decreto avrebbe avuto un’altra soluzione.
Proprio per otturare questa falla, il Consiglio dei Ministri di lunedì ha approvato un decreto legge, firmato da Mattarella, che ha semplicemente elencato i diciannove “Paesi sicuri” senza aggiungervi altro.
Questo decreto legge verrà convertito dal Parlamento in legge entro sessanta giorni e probabilmente si troverà di fronte ai magistrati che lo porteranno al Tribunale taglia-leggi, cioè la Corte Costituzionale, perché ritenuto incostituzionale. Vedremo.
Tutta la questione che abbiamo elencato, indicando volutamente gli estremi giuridici per evitare di essere equivocati, è solo una goccia dell’enorme problema dell’immigrazione disordinata, che costa al nostro Paese, per la relativa e necessaria assistenza, fra i quattro e i cinque miliardi l’anno.
Quindi la questione oggi trattata, per dovere di cronaca, è uno spillo rispetto alla tematica dell’immigrazione, che va affrontata con decisione mediante accordi con i Paesi rivieraschi dell’Africa, sul modello Unione europea-Turchia. Ricordiamo infatti che l’Ue paga quel Paese orientale circa tre miliardi l’anno per tenere le frontiere rigidamente chiuse. Infatti da quelle coste non parte nessuno.
Se quest’anno il numero degli immigrati si è dimezzato, si deve anche all’accordo che questo Governo ha fatto con quello tunisino del presidente Kaïs Saïed e anche senza clamore con gli altri di Egitto, Marocco e Libia. Il rimpatrio non è il rimedio; bisogna evitare le partenze, capendone le cause.