ROMA – Declamava l’indimenticato Giorgio Gaber in un suo noto monologo, risalente all’ormai lontano 1978: “C’ è una fine per tutto. E non è detto che sia sempre la morte”. Per una legge la fine più consueta è quella di essere sostituita da una nuova che regoli la medesima materia. Questo è esattamente ciò che avverrà dal prossimo 28 febbraio per quelle disposizioni della legge n.92 del 2012, che imponevano di trattare le cause di licenziamento, in cui vi era l’attesa della reintegrazione nel posto di lavoro, con un rito speciale detto appunto rito Fornero, con un netto riferimento alla ministra che aveva voluto questa norma, nel pio intento di accorciare i tempi di pendenza di questo tipo di cause.
Purtroppo la norma non ha dato i frutti sperati, anzi ha reso più lungo il giudizio di primo grado, giacché prevedeva una fase sommaria il cui esito, di norma un decreto, poteva essere oggetto di un giudizio di opposizione, che proseguiva sempre innanzi allo stesso tribunale. La cui sentenza poteva essere poi appellata con un giudizio di gravame innanzi alla competente corte d’appello.
Quindi contrariamente alle intenzioni del legislatore, di fatto, la sospirata decisione finale tardava ad arrivare ancora di più, perché il primo grado in realtà si componeva di due fasi distinte del giudizio, innanzi allo stesso giudice, in cui quella di opposizione appariva una inutile ripetizione della precedente, giacché non ci si poteva attendere che lo stesso giudicante riformasse la propria decisione, in mancanza di un formidabile motivo per giustificare il proprio ripensamento. Ora il recente decreto legislativo 149/2022, la cui entrata in vigore è stata anticipata dal governo, per fini dichiaratamente finalizzati a rendere veloce e più efficiente il processo civile, ha eliminato il rito speciale, disponendo che dal mese prossimo anche le cause di licenziamento vengano trattate con lo stesso rito delle altre cause di lavoro, ma con un altisonante riconoscimento del loro carattere prioritario, ragione per cui devono essere inserite in un apposito calendario in cui i differimenti saranno a date quanto più prossime possibili tra loro.
In vero, l’argomento non è nuovo giacché anche per il rito Fornero era stata prevista una corsia speciale; nelle previsioni una corsia d’autostrada, nelle realtà una corsia d’ospedale per lungodegenti.
Ma la fine della normativa Fornero non è stata decretata solo dal legislatore dell’ennesima riforma del processo civile che, ancora una volta, si propone di dare tempi al lavoro degli avvocati e dei giudici, non troppo diversi da quelli di altri Paesi europei, giacché la Corte Costituzionale, in modo severo, aveva già ripetutamente picconato la normativa riguardante la disciplina delle conseguenze dei licenziamenti riconosciuti illegittimi.
Tra le decisioni della Corte di legittimità merita di essere ricordata la sentenza n. 59 dell’1 aprile 2021, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale di quella disposizione dell’art. 18 della Legge 300 del 1970 (Statuto dei Lavoratori) nella parte modificata dalla legge 92 del 2012 (legge Fornero) in cui il giudice, a seguito della mancanza di un giustificato motivo del licenziamento, aveva la facoltà discrezionale di applicare il provvedimento della reintegrazione, anziché disporre soltanto il risarcimento economico derivante dall’espulsione dal posto di lavoro, in luogo della ricostituzione del rapporto lavorativo, così come era invece previsto prima della riforma del 2012.
Altra decisone della Corte Costituzionale, che ha cancellato una ulteriore modifica introdotta dalla legge Fornero è la più recente sentenza n.125 del 19 maggio 2022 che ha dichiarato la illegittimità di quella disposizione della medesima norma dello Statuto dei Lavoratori, che nella versione post Fornero richiedeva per la emissione di un provvedimento di efficacia reale e quindi reintegratorio, che il fatto posto a motivazione del licenziamento oltre ad essere insussistente avesse le caratteristiche della manifesta insussistenza.
Anche la Corte di Cassazione, da parte sua, in questi anni non ha mancato, ripetutamente, di fornire innovative interpretazioni che, a ben vedere, evidenziano chiaramente un rigetto delle modifiche subite dal citato art. 18 dalla riforma Fornero, articolo che da sempre ha rappresentato l’incerto e conteso confine, se non addirittura la trincea, tra i confliggenti, diritto al mantenimento del posto di lavoro e, l’antagonista diritto di organizzare liberamente l’organigramma dell’impresa, allontanando i lavoratori non graditi. Ma quella è un’altra storia.