Cronaca

L’infiltrato che scriveva a Matteo Messina Denaro

Il Covid ha portato via il protagonista di un complicato gioco su due tavoli. Antonio Vaccarino, morto a Catanzaro, non era solo l’ex sindaco di Castelvetrano, il regno di Matteo Messina Denaro.

Era soprattutto l’uomo che con grande spregiudicatezza ora tramava con la mafia ora lavorava sotto traccia per i servizi. Per anni è riuscito a recitare tante parti in commedia. Poi è diventato per tutti un personaggio ingombrante e, quando le sue maschere sono cadute, è stato incriminato, condannato, incarcerato.

A incastrarlo, l’ultima volta due anni fa, è una storia che sembra ricalcare il suo copione più rappresentato: avrebbe passato a un giro mafioso legato a Messina Denaro le intercettazioni che aveva avuto sotto banco da due uomini dei servizi. Il doppio gioco di Vaccarino, che a 76 anni era ancora sulla scena dei misteri, era stato svelato 14 anni fa.

Massone, già processato e assolto per associazione mafiosa ma condannato per traffico di droga, l’ex sindaco era stato arruolato dai servizi e indotto a intavolare una corrispondenza con il superlatitante Messina Denaro. Con il nome di copertura di Svetonio, lo storico dell’età imperiale romana, scambiava lettere piene di riflessioni argute con il boss che si firmava Alessio. La comune formazione umanistica era il collante di quei dialoghi che però alzavano il velo su uno scenario criminale.

Cinque le lettere ricevute da “Svetonio” tra il 2004 e il 2006 e consegnate agli 007. Con un registro colto e confidenziale tracciano il profilo privato del boss più ricercato d’Italia. Messina Denaro arrivava a definirsi un “capro espiatorio” e si paragonava al signor Malaussene, il personaggio letterario di Daniel Pennac. “Non amo parlare di me stesso – scriveva – e poi oramai è da anni che sono gli altri a parlare di me e magari ne sanno più di me medesimo … Un uomo non può cambiare il proprio destino, l’importante è viverlo con dignità, io sono a posto con la coscienza e sono sereno”. Era orgoglioso di essere “vissuto da uomo vero” ed era pronto a sfidare la morte vestendo i panni di un “uomo giusto”. Ma siccome anche Cosa nostra ha un’intelligence che funziona, l’ultimo boss latitante ha presto scoperto il doppio gioco di “Svetonio”. Ha quindi abbandonato la maschera di “Alessio” per riprendere l’identità di Matteo. E con quella ha mandato a Vaccarino l’ultimo messaggio terrificante: “La sua illustre persona fa già parte del mio testamento… In mia mancanza verrà qualcuno a riscuotere il credito che ho nei suoi confronti”. Ormai bruciato come infiltrato, Vaccarino era stato salvato dai servizi che avevano confermato di averlo “agganciato” per tentare di arrivare a Messina Denaro. E quindi era stato assolto. Ma non per questo si sono chiusi i rapporti tra l’ex sindaco e l’intelligence con la mafia come terzo incomodo. Due anni fa Vaccarino è stato di nuovo arrestato per un altro doppio salto: avrebbe avuto dal colonnello Marco Zappalà, ufficiale della Dia a Caltanissetta, un’intercettazione tra due indagati, ascoltati in uno dei tanti filoni di inchiesta sul padrino trapanese. La conversazione, trascritta dall’appuntato Giuseppe Barcellona, conteneva informazioni sulla ricerca di Messina Denaro e sarebbe stata passata da Vaccarino nel marzo 2017 al mafioso Vincenzo Santangelo. Questi passaggi, secondo i magistrati, rivelano l’esistenza di una rete di “talpe” tra cui Vaccarino, grande specialista del doppio gioco. Quindi nuovo arresto e condanna a sei anni per favoreggiamento aggravato della mafia. È la sentenza che Vaccarino stava scontando nel carcere di Catanzaro prima di essere rimesso in libertà per curarsi dal Covid risultato più fatale delle minacce di Messina Denaro.