Quella della violenza sulle donne è una realtà dalle mille sfaccettature, affrontata spesso in maniera parziale e inadeguata.
Ne abbiamo parlato con Eugenia Sallemi, che ha affrontato il fenomeno nella sua tesi di laurea in Giurisprudenza. Un elaborato che nasce da anni di studio ed interesse circa “un tema così pregnante nella realtà odierna e purtroppo fonte di grandi amarezze”.
“Tramite lo studio della letteratura sul tema – spiega Sallemi – ho potuto appurare che la violenza non si è mai ridotta ad un solo atto aggressivo nei riguardi della propria donna, ma si è sviluppata come un crescendo di atteggiamenti impetuosi che registravano gli epiloghi più spiacevoli. Ciò mi ha consentito di maturare una certa coscienza critica al riguardo”.
L’obiettivo della tesi sperimentale è stato, quindi, quello di “focalizzare l’attenzione sulla vittima in questione, approfondendo aspetti legati a dinamiche, presupposti ed eventi conseguenti all’offesa ricevuta. Accanto alla dimensione giuridica, ho compiuto riflessioni di origine psicologico-scientifica, per indagare non solo sulla natura dei processi vittimogeni, ma anche sul ruolo della vittima”.
Scopo della tesi era anche quello di “sensibilizzare su tale problematica, che solo recentemente è stata attenzionata (anche da un punto di vista normativo): in tal modo si proverebbe a costruire una certa consapevolezza nella società contemporanea per dirimere atti altamente cruenti”.
Tesi che è stata accolta – ci racconta Sallemi – con grande entusiasmo sia dal docente relatore Giuseppe di Chiara, colpito da attualità e rilevanza del tema, che dalla commissione in sede di discussione”.
Altro aspetto dirimente è quello della narrazione mediatica sul delicato tema delle violenze e dei femminicidi: “I mass media rivestono un ruolo importante a tal riguardo, in quanto si focalizzano soprattutto sulla violenza fisica, di natura sessuale (come lo stupro) o quella avvenuta in contesti abitudinari di familiarità (vale a dire la violenza domestica), tralasciando le forme di violenza psicologica, la quale può arrecare un danno morale alla sfera privata del soggetto. I racconti di cronaca inerenti i femminicidi utilizzano un linguaggio aberrante, in quanto ritrovo spesse volte titoli fuorvianti, che giustificano l’atto illecito per gelosia ossessiva o per un improvviso raptus di follia. Così dicendo – rileva Sallemi – le donne subiscono una doppia lesione: quando vengono uccise e quando vengono rese oggetto di tali narrazioni, perché le argomentazioni che si sviluppano in seguito nella società riflettono l’errore come se dipendesse unicamente da una colpa della donna, la quale non è stata in grado di scegliere il compagno adatto o perché ha assunto atteggiamenti tali che se l’è cercata”.
“In realtà – conclude – io credo che tali storie, piene di abusi e forti marginalizzazioni, non vadano mai generalizzate o lette con spirito giustificatorio; dovremmo invece scavare nelle dinamiche di quel contesto sentimentale/domestico per capire realmente gli eventi succedutisi”.
Infine affrontiamo alcune considerazioni sulla legge 69/2019, il cosiddetto Codice rosso, che prevede un inasprimento del trattamento sanzionatorio e la formulazione di quattro nuove fattispecie di reato. Proprio su questo aspetto Sallemi osserva che: “è sicuramente un passo avanti per contrastare il fenomeno della violenza di genere”. Tuttavia, aggiunge ancora, “tale riforma presenta un’efficacia parziale perché il legislatore ha pensato di procedere tramite la redazione di norme repressivo-protezionistiche, ma non ha valorizzato altri meccanismi di tutela che potevano entrare in campo: pensiamo al potenziamento di certe strutture antiviolenza o le cosiddette case rifugio, per assistere la vittima in luoghi protetti quando si trovi nella condizione massima di vulnerabilità. A tal proposito si pensi alla condanna subita dall’Italia nella famosa sentenza della Corte Edu “Talpis” per violazione degli obblighi positivi di protezione delle vittime vulnerabili. Pur non volendo smentire – conclude – una certa visione ottimistica, i dati rintracciabili sui reati di violenza denunciati e sui femminicidi mostrano che vi è ancora tanta strada da percorrere, al fine di determinare un mutamento radicale legato a tale fenomeno dilaniante”.