Kundera ci parlava di leggerezza, ma qui si parla di politica siciliana, che tutto è tranne che leggera. A volte magari è folkloristica, spesso indigesta, ai più indifferente. La settimana scorsa si è tenuto il rito tribale dell’agape fraterna, con la riapertura dei ristoranti, della politica, il patto del pacchero del grande centro siciliano.
Erano da notare più le assenze che le presenze, non c’era Miccichè che rappresenta il più grande, attualmente, partito moderato siciliano, non c’era il neo coordinatore di Italia Viva, nonché capogruppo al Senato Davide Faraone, non c’erano né Cuffaro né Lombardo, e non sono assenze indifferenti nel gioco del centro siciliano.
Di fatto sembrava una riunione di deputati regionali alla ricerca del tempo perduto, per la l’allestimento di una lista civica siciliana per le prossime regionali, più che il tentativo di costruzione di un soggetto politico. Anche perché non si capisce se c’è un aggancio ad un partito nazionale, come ha fatto per esempio Raffaele Lombardo con la Lega, o come era Sicilia Futura con il PD, o meno.
Manca il nesso causale politico, oggi si potrebbe dire, ma non è nemmeno colpa del tutto loro. In Italia ci sono anche troppi pretendenti al ruolo di partito di centro ma nessuno ha ancora un preciso core business ed una leadership riconosciuta. Ci sono in campo Berlusconi, anche se malfermo per età e salute, Renzi, Calenda, Dalla Vedova, perfino Conte di fatto è un neocentrista a dispetto dei suoi assistiti pentastellati.
Di tutti questi il solo Renzi ha sufficiente attitudine alla guida, e quella che in napoletano si definisce “cazzimma”. Il centro di fatto non può ancora nascere perché non c’è, ad oggi, una legge elettorale proporzionale pura con sbarramento idoneo che ne favorisca la nascita per aggregazione. Ci sarà e quando ci sarà? Nel frattempo i dioscuri siciliani profughi, non solo di un vero centro politico, ma vieppiù spaventati da sbarramenti regionali e da allontanamento per disperazione dell’elettorato, cercano di mettersi sotto una copertina di Linus politica, come nell’inno. Stringiamoci a Corte per difendersi dalla morte. Ovviamente parliamo di morte politica, che per molti, per età e vetustà politica, è un incubo reale.
Come reagirà l’elettorato siciliano dopo essere stato stremato dal combinato disposto di pandemia e crisi economica susseguente? Crederà alle solite promesse o voterà ancora una volta per protestare il proprio scoramento?
Siamo sicuri che il grande Franco Battiato pensasse al patto del pacchero quando cantava di un centro di gravità permanente?
O invece quando scrisse “sul ponte sventola bandiera bianca” era il suo pensiero per archiviare le vecchie cose di casa nostra?
La Sicilia ha sempre fatto da laboratorio politico per L’Italia. Almeno dal 1947 ad oggi. Ma allora la Sicilia aveva cognizione del suo ruolo geopolitico ed una classe dirigente di alto profilo rispetto all’attuale. Oggi mi sento di dire che pochi masticano di geopolitica, di sostenibilità e di coniugazione tra il mondo globale ed il ruolo di ciò che sono le prospettive locali. La politica quella vera è questa, non so se si coniuga con un banchetto neoelettorale. Detta in gergo calcistico palermitano questa cosa sa più di pasta con le sarde.
Gatto Silvestro