Editoriale

Liste d’attesa? Disorganizzazione!

Il tema centrale della sanità di questi ultimi mesi sono le liste d’attesa del servizio sanitario – ricordiamo gestito dalle Regioni e non dal Governo – il quale non è capace di fissare gli appuntamenti per tutti i tipi di esami e di visite mediche a malati che ne fanno richiesta, in tempi ragionevoli.
Qual è la causa principale di questo disservizio? Semplice: la disorganizzazione, ovvero la mancanza di un’organizzazione efficiente che faccia funzionare tutti i reparti come un orologio o – con una metafora più appropriata – come un’orchestra.

Ricordiamo per chi non lo sapesse che Organizzazione non è una vuota parola, bensì una scienza inventata e messa in atto negli ospedali canadesi fin dal 1937, quindi ottantasette anni fa. Purtroppo nelle nostre Università questa materia è rara, perché viene considerata di secondo livello, mentre è fondamentale per il funzionamento eccellente di qualunque attività, sia economica che sociale.

Vi è da sottolineare che la sanità non funziona soprattutto nelle regioni meridionali, è discreta in quelle centrali e diventa buona o ottima nelle regioni settentrionali.
Questi dati obiettivi e incontrovertibili dimostrano senza ombra di dubbio che non è la quantità di risorse finanziarie che fa funzionare una struttura sanitaria, bensì la sua capacità di funzionare come un’orchestra di ottanta o centoventi professori, che sono capaci di suonare tutti insieme, in modo intonato e a tempo, senza sgarrare né di mezza nota né di un secondo. Quando qualcuno dei professori sgarra, è cacciato senza se e senza ma.

Ecco come dovrebbe funzionare una Pubblica amministrazione e in particolare quella parte di essa che si occupa di sanità. Quanto precede, a cominciare dal sistema di prenotazione di esami o di visite di qualunque genere, che dovrebbe essere nazionale. Purtroppo così non è, anzi tale sistema in molti casi, come in Sicilia, non è neanche regionale. Per cui si verifica la macroscopica circostanza che il malato fa prenotazioni in più ospedali e poi quando qualcuno di essi la accetta, si dimentica di “sprenotare” negli altri enti.
La situazione può migliorare, ma è necessario imitare quelle strutture funzionanti, per evitare il cosiddetto “turismo sanitario”.
Nelle Aziende provinciali, nei Policlinici universitari e nelle Aziende ospedaliere vi sono tre vertici costituiti dal/la direttore/trice generale, amministrativo/a e sanitario/a. Fra essi/e vi sono professionisti/e di alto valore. Però dobbiamo rilevare dalle nostre numerose inchieste fra i/le malati/e che hanno bisogno di cure, che non sempre questa professionalità si riverbera nel sistema organizzativo, con la conseguenza che abbiamo prima richiamato.
È anche vero che vi sono partiti politici colpevoli di non avere sistemato le cose quando governavano precedentemente e che continuano battere il tamburo dell’inefficienza, il che si traduce con l’immagine delle lunghissime liste d’attesa.
Ma neanche loro avevano pensato che il difetto centrale di quanto reclamato era la disorganizzazione, che continua a esserci perché professionisti/e del settore ve ne sono pochi.
La questione diventa più grave rilevando ulteriormente che manca il metodo per far funzionare le cose, anche se vi sono libroni di regole del tutto inutili perché contraddittorie, confuse e non chiare.

La sanità è diventata universale con la legge del 1978, anno in cui si istituì il Servizio sanitario nazionale (Ssn). Poi vi sono state delle correzioni legislative, ma a distanza di quarantasei anni esso continua a funzionare mediamente male, nonostante lo Stato nel 2025 immetterà 136 miliardi e nel 2026 oltre 140 miliardi, cui bisogna aggiungere le risorse immesse da ciascuna Regione.
Ovviamente non sono risorse elevate, ma se ogni ente funzionasse – come prima si scriveva – alla stregua di un’orchestra, sicuramente i servizi migliorerebbero per quantità e qualità. Ma nell’orchestra suonano solo i/le professori/esse, mentre nell’organizzazione di un ente sanitario, professori/esse ce ne sono pochi/e, con la conseguenza che il suono è stonato, lento e fuori tempo.
Se si comprendesse la necessità che chi partecipa a un consesso dev’essere molto preparato/a e coscienzioso/a, il sistema pubblico, compreso quello sanitario, funzionerebbe come un’orchestra: intonata e a tempo.