Sanità

L’Italia non è un Paese per infermieri: “150mila in meno per gli standard Ue”

ROMA – Il sistema sanitario italiano, come ha drammaticamente dimostrato la pandemia da Covid-19, e in uno stato di profonda sofferenza che rischia di sfociare presto in un vero e proprio collasso. Tante le criticità irrisolte che il Quotidiano di Sicilia ha evidenziato più volte, ponendo l’accento su tematiche di assoluto rilievo che pesano sia sui professionisti sanitari che sul singolo cittadino-paziente. L’ultimo allarme in ordine di tempo è quello che arriva da Antonio De Palma, presidente nazionale del sindacato infermieistico Nursing Up, che ha denunciato il deficit di organico che affligge la categoria. “Fino a che punto – afferma – la grave carenza di infermieri che interessa il nostro Sssn, rischia di compromettere irrimediabilmente il presente e il futuro della sanità italiana? Fino a che punto, la classe politica, continuerà a mettere la testa sotto la sabbia, sottostimando la portata di una piaga che presto o tardi si riverserà come un boomerang sulla qualità delle prestazioni offerte ai cittadini?”. I dati ufficiali riferiscono di una base di 65 mila infermieri mancanti all’appello.

Numeri significativi ma che – sottolinea tuttavia De Palma – “rappresentano solo la punta dell’iceberg di un problema di dimensioni ancora più vaste, le cui cifre vanno ad espandersi a macchia d’olio, giorno dopo giorno, nell’esatto momento in cui teniamo in considerazione gli standard europei, ai quali per forza di cose dobbiamo equipararci, evitando finalmente di fare finta che le cose siano meno drammatiche di quanto lo siano in realtà. Quanti altri campanelli di allarme devono risuonare alle nostre orecchie?

Una problematica evidenziata anche dalla Corte dei conti che – esprimendosi sulla Nadef 2022 – ha puntato i riflettori sul pesante sottodimensionamento del personale infermieristico italiano, specie in alcune aree della nazione. Un sottodimensionamento la cui portata risulta evidente nel confronto con i numeri degli altri Paesi europei. Come spiega De Palma, infatti: “In Europa ci sono in media 2,2 infermieri per medico in servizio, con un rapporto infermiere-medico che raggiunge circa 4 in Lussemburgo e Finlandia. Il rapporto era ed è molto più basso nei paesi dell’Europa meridionale e in Lettonia. Neanche a dirlo, in Italia il rapporto è di 1,6 infermieri ogni medico”. A sottolineare il gap italiano è anche l’ultimo rapporto Health at a Glance Europe 2022, pubblicato dall’Ocse, in collaborazione con la Commissione europea. Secondo lo stesso in Italia i sono 6,3 infermieri ogni 1.000 abitanti, rispetto a una media di 8,3 negli altri Paesi Ue. Risulta, quindi, evidente la necessità di un adeguamento che porti l’Italia in linea con gli standard continentali e comunitari.

La carenza di infermieri, in tale ottica – aggiunge il presidente nazionale del Nursing Up – è anche più grave rispetto ai dati delle 65 mila unità con cui strutturalmente parlando siamo alle prese: e non è una esagerazione affermare che supera le 150mila unità rispetto ai parametri Ue e, comunque, solo per il nuovo modello disegnato dal Pnrr ne servirebbero 40-80mila in più, per coprire le esigenze legate alla indispensabile ricostruzione della sanità di prossimità, in merito alla quale, visto ‘l’andazzo’, tremiamo al solo pensiero che le ingenti risorse a disposizione possano andare in fumo e andare così sprecate”.

Ad aggravare la situazione si aggiungono le sempre più frequenti aggressioni ai danni degli operatori sanitari, che si moltiplicano con sempre maggiore frequenza da Nord a Sud. Solo nel 2022 gli episodi sono stati 85 in tutta Italia e la Sicilia si è “distinta” tra le regioni più pericolose con 20 casi segnalati. Vittime di tali episodi, nella stragrande maggioranza dei casi, sono infermiere donne (75%). Un dato giustificato dal fatto che in Italia, come ricorda la Federazione nazionale ordini professioni infermieristiche, esiste “una prevalente presenza femminile: le donne (347.947 su quasi 460mila iscritti agli Ordini) rappresentano il 76,5% dei professionisti della categoria”.

La larga prevalenza femminile, inoltre, chiama in causa le questioni (anch’esse irrisolte) legate alle disparità di genere. Barbara Mangiacavalli, presidente della Fnopi, lo ha detto a chiare lettere nel corso di un’audizione alla commissione Politiche dell’Unione europea del Senato: “A livello europeo l’Italia si classifica ottava, ed è preceduta dalla Romania, tra i Paesi peggiori per quanto riguarda la retribuzione a favore delle donne nelle professioni sanitarie, con un divario salariale del 24% “. Temi sui quali si è registrato il sostanziale immobilismo del Governo. Eppure risulta evidente la necessità di interventi urgenti e risolutivi, prima che sia troppo tardi”.