Intervista

Lorefice: “Voleva scuole e presidi istituzionali, ha fatto paura e per questo è stato eliminato”

Don Corrado Lorefice il 27 ottobre 2015 è stato nominato da Papa Francesco arcivescovo metropolita di Palermo, successore del cardinale Paolo Romeo. È primate di Sicilia e, dal 17 ottobre 2022, vicepresidente della Conferenza episcopale siciliana. In un’intervista esclusiva al QdS ha raccontato don Pino Puglisi.

Don Corrado, cosa ricorda di quel 15 settembre 1993?
“Il 15 settembre 1993 ero a Ispica. Quando arrivarono le prime notizie tutto potevo pensare tranne il fatto che si trattasse del don Pino Puglisi che avevo conosciuto. Quando fu chiaro che quel Giuseppe Puglisi di cui si parlava alla radio fosse don Pino Puglisi, i ricordi sono affiorati all’improvviso, concentrandosi tutti in un istante. Il suo modo di essere, di vivere, di parlare, i suoi messaggi, la sua postura e la sua grammatica umana che, per me, ricalcava in pieno la grammatica evangelica. Lo reputo un prete credente, un vero prete discepolo del signore. Se oggi, a volte, anche da noi preti arrivano delle contro testimonianze rispetto all’essere credente, significa che è proprio a livello della fede che si fallisce e quindi, inevitabilmente, anche a livello morale”.

In quale occasione vi eravate conosciuti?
“Avevo collaborato con lui nel 1988 nella Pastorale Vocazionale, essendo lui al tempo direttore del centro regionale Vocazione e io invece direttore del direttore del centro diocesano Vocazione della diocesi di Noto”.

Chi è stato don Pino Puglisi?
“Pino Puglisi è stato un vero uomo religioso, un vero discepolo di Gesù in cui s’incarnavano una grande passione morale per la giustizia, per il bene e soprattutto in grado di assumere le sofferenze degli altri. Non si può capire realmente Pino Puglisi senza mettere a fuoco che era appassionato del Cristo, del Vangelo. La sua antimafia non è mai stata fine a se stessa ma conseguenza della sua grande fede, della sua relazione di passione e amore, ‘fides’ è fiducia, è consegnare la nostra vita a un altro e Pino Puglisi aveva affidato la sua vita al Cristo cui attingeva nella comunione quotidiana con la parola di Dio e, soprattutto, nella celebrazione dell’Eucarestia. Questo è il Pino Puglisi che ha fatto paura alla mafia, perché, in fondo, ha fatto la proposta di una vita fatta di libertà. Anche per questo ha voluto creare il centro parrocchiale di accoglienza da lui creato nel cuore di Brancaccio, proprio là dove c’era il forte presidio e controllo dei fratelli Graviano, intitolandolo ‘Centro Padre Nostro’ perché chi riscopre di essere figlio riscopre la sua libertà, chi è figlio di Dio è un uomo libero da ogni forma di oppressione. Dallo stesso processo e dalle testimonianze si evince che Pino Puglisi ha fatto paura alla mafia e per questo è stato eliminato. In quello stesso periodo la mafia aveva lanciato la sua sfida nei confronti della mafia ma anche della Chiesa. In quello stesso periodo Giovanni Paolo II lanciò, da Agrigento, il suo ‘convertitevi’ e la reazione furono gli attentati del 1993 e poi l’omicidio di Pino Puglisi, segnali di forza e potere. Pino Puglisi in quel quartiere chiedeva un riscatto sociale che mal si conciliava con le esigenze di controllo del territorio della mafia. Voleva la scuola, gli asili, i presidi delle istituzioni, voleva quello che era giusto che ci fosse per il bene comune e ha voluto un centro parrocchiale”.

A trent’anni dal suo omicidio, pensa che Palermo abbia compreso il sacrificio di don Pino?
“Palermo, oggi, ha sicuramente una nuova coscienza civile. Se ripensiamo a quella Palermo, quella degli anni ’80 e ’90, ci rendiamo conto che si trattava di una città in cui la sera non si poteva uscire di casa. L’esplosione della consapevolezza è avvenuta dopo i tragici eventi del ’92 e del ’93 da parte dei cittadini. Questo non significa che Palermo sia in una situazione di riscatto avvenuto perché c’è ancora una mentalità e una prassi ambigua, come ci ricordano diversi magistrati, ancora presente. C’è una mafia che prolifera nelle ambiguità, nelle contiguità, nei collateralismi, in un entroterra che porta avanti logiche mafiose da parte di persone non iscritte formalmente alle consorterie mafiose. La stessa cattura di Matteo Messina Denaro ci ha ancora aperto gli occhi sui silenzi, sulle omertà, le connivenze che hanno circondato la sua latitanza, dimostrando che sono ancora un problema attuale. Il lavoro da fare è ancora tanto e il sangue di quanti sono morti sotto la vile mano mafiosa non può essere stato versato invano. Si tratta di uomini ispirati dalla loro fede, basta prendere ad esempio Borsellino e Livatino, magistrati che hanno dimostrato che, guidati dalla propria fede, hanno capito che l’altare in cui servire Dio era la loro professione. Una fede che alimenta la passione morale per la giustizia, per il bene e che, soprattutto, alimenta un cuore che è capace di far proprie le sofferenze altrui. A Palermo, invece, oggi assistiamo a cose tremende. C’è una perdita della passione morale e, mancando questa, prevale l’indurimento del cuore e dunque l’ingiustizia. Si può trattare il corpo di un altro o di un’altra come rapina per la ricerca del piacere? Si può eliminare la vita di un altro? Prima lo si faceva con le armi oggi con altri metodi. Questo significa che c’è un forte abbassamento dell’attenzione morale mentre la fede che questi uomini ci hanno testimoniato, a maggior ragione Pino Puglisi, è una fede che la custodisce e la amplifica, un forte esempio di cittadinanza attiva, affinché la ‘città degli uomini’ possa essere riscattata da ogni forma di male”.