PALERMO – L’ospedale “Vincenzo Cervello” di Palermo è, insieme al Policlinico di Partinico, uno dei due “Covid Hospital” attrezzati dalla Regione siciliana nell’area metropolitana del capoluogo dell’Isola. Una vera trincea, dove medici e operatori sanitari combattono quotidianamente una strenue battaglia al virus, risultando una delle eccellenze nazionali sul fronte di contrasto alla malattia. Qui è stata ricoverata il 25 febbraio la turista bergamasca in vacanza in Sicilia, risultata essere la prima persona contagiata dal covid sull’isola.
Al Cervello si lavora incessantemente e anche la tradizionale disposizione dei reparti dell’ospedale ha subito una profonda riorganizzazione, dopo la decisione di dedicare la struttura all’emergenza. Tutti i pazienti del padiglione centrale sono stati trasferiti in altri reparti, in clinica, a Villa Sofia.
Punto di riferimento per l’ospedale in queste settimane così difficili è la Tiziana Maniscalchi, coraggioso primario del Pronto Soccorso: “Questa struttura è nata dedicandola a questa tipologia di pazienti. Abbiamo affrontato da subito il problema rendendoci conto che erano pazienti particolari i cui percorsi andavano assolutamente separati rispetto ai pazienti non Covid, questo per evitare la diffusione della patologia. Perché sappiamo per certo che il maggiore diffusore della malattia è lo stesso paziente e noi stessi. Il virus viaggia anche sulle gambe degli operatori – ha raccontato – e quindi il nostro scopo è stato quello di chiuderci dentro, ricevere pazienti il più possibile selezionati e in questo il 118 ha fatto un lavoro meraviglioso. A marzo abbiamo ricevuto 70 pazienti positivi e sono quasi tutti ricoverati. Siamo riusciti a incanalare questi pazienti verso un unico percorso, e siamo riusciti fino ad ora a selezionare i pazienti non Covid per ricoverarli in sicurezza. L’indicazione massima per tutti quanti è quella di restare a casa. Così come noi cerchiamo di non far circolare il virus nei reparti, così ognuno deve impegnarsi per non farlo circolare all’interno delle proprie famiglie, delle proprie comunità lavorative. Solo così riusciremo ad azzerare i contagi”.
Tra i ricoverati per coronavirus c’è anche un medico che si è trovato da un giorno all’altro dall’altro lato della “barricata” e che oggi, ormai in via di guarigione, racconta da dietro un vetro protettivo quella che è stata la sua esperienza umana e professionale da malato di covid.
“È stata un’esperienza durissima ma molto formativa. Il dramma è stato quello di avere la percezione di rischiare d’essere intubato perché perfettamente riuscivo a capire quelli che erano gli avvenimenti che si stavano avvicendando dentro di me. Per il resto è sempre qualcosa di impressionante. Quello che mi porterò dietro è l’ancora maggiore serietà nell’affrontare la mia professione”. E ai colleghi in trincea raccomanda: “Fate attenzione e siate rigorosi nelle procedure. E dovete avere in mente che le vostre azioni si ripercuote su coloro che vi stanno accanto. Quindi l’anamnesi e quindi la valutazione preliminare del paziente dei suoi fattori di rischio sono fondamentali perché su questo si fa la sicurezza di chi viene dopo di voi”.