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Luca Mazzone, il superman italiano si conferma a Tokyo 2020 e guarda avanti

Le Paralimpiadi di Tokyo sono state l’ennesima dimostrazione che Luca Mazzone è il campione di tutti i tempi dell’handbike che l’Italia abbia mai potuto vantare.

La sua storia è di un uomo che non conosce il verbo arrendersi e a cui non piace la comfort zone. Di origini pugliesi, da sempre praticante di sport, a 19 anni rimane vittima di un incidente che gli provoca una lesione midollare cervicale.

Luca Mazzone, oro olimpico a Tokyo 2020

Si dedica al nuoto paralimpico e alle Paralimpiadi di Sydney 2000 vince due medaglie d’argento nella categoria S4, oltre ad aver conseguito diversi record nazionali e mondiali e facendosi notare ai campionati mondiali vincendo nei 50, 100 e 200 metri stile libero. Dopo le Paralimpiadi di Pechino, annuncia il suo ritiro. È un modo per mettere su famiglia e per conseguire il diploma di ragioneria.

Incapace di stare lontano dalle gare, si reinventa ancora una volta. Dal nuoto passa nel 2011 all’handbike e si tessera con il Circolo Canottieri Aniene nel 2012. Vince i campionati del mondo su strada di handbike del 2013, 2014 e 2015 nelle prove in linea e a cronometro H1 e H2 e nella staffetta mista, componendo il trio iridato con Alex Zanardi e Vittorio Podestà.

Alle Paralimpiadi di Rio2016 vince la medaglia d’oro nella staffetta handbike H1 -5 con Zanardi e Podestà e si mette al collo anche l’oro nella crono H2, più un argento nella gara su strada.

Cinque anni dopo, a 50 anni, con i compagni di squadra Paolo Cecchetto e Diego Colombari, conquista la medaglia d’oro in Team Relay, riconfermandola, oltre i due argenti nella crono e nella prova in linea.

Medaglia d’oro a Tokyo 2020 nel team relay, ma è solo l’ultima di un palmarès ricco. Cosa c’è dietro una vittoria così?

“C’è tanto lavoro che a descriverlo non rende l’idea. Ci vogliono passione e amore per lo sport, soprattutto per la fatica perché dedichi tutta la giornata tra allenamenti, nutrizione e uscite esterne.

A 50 anni devi allenarti anche di più perché gli avversari sono più giovani e anche più forti. È una costante dedizione, ma mi fa stare bene con me stesso a livello fisico e mentale”.

Qual è il rapporto con gli altri atleti con cui ha conquistato il gradino più alto del podio?

“È un rapporto di amici di squadra. Ognuno abita in una parte differente d’Italia. Ci si vede durante i raduni della Nazionale. Siamo in buoni rapporti e ci alleniamo con la stessa intensità”.

Tra le prime dichiarazioni dopo la vittoria, vi è stata la dedica ad Alex Zanardi con il quale è stato compagno di squadra. Cosa ha imparato gareggiando fianco a fianco con Zanardi?

“Ho imparato tanto perché Alex è una persona squisita, gentile e che si mette a disposizione. Mi ha aiutato con le ruote della handbike. C’è un’azienda di Vicenza, la Campagnola, che fa ruote per i ciclisti. Le produceva solo per Alex. A dicembre 2019 ne abbiamo parlato e prima dell’incidente le ha fatte fare pure per me. Inoltre, nella meccanica era bravissimo e ti dava sempre dei consigli. Ci teneva sempre allegri nei ritiri con la Nazionale. Una persona molto simpatica e un carattere molto positivo che ti dava stimolo, coraggio e forza”.

La sua è una storia incredibile. Cosa significa per lei essere resiliente?

“Non ci sono spiegazioni perché per me è normale. Tante volte ci chiamano superuomini, ma io sono un ragazzo che ha avuto un brutto incidente, ho avuto una famiglia prima e dopo che mi ha aiutato e fatto crescere con l’idea di affrontare le difficoltà e di ricevere il massimo dalla vita. Quando ho un problema, cerco di affrontarlo come fosse l’avversario, facendo in modo di non farmi battere e, se dovesse accadere, cerco di trovare una strada alternativa.

Per me la comfort zone è il male assoluto: se hai paura di qualcosa, quella paura diventa devastante perché non ti fa più vivere. Io per primo ho paura ogni giorno, ma ogni giorno la sconfiggo perché non voglio che abbia la meglio su di me”.

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Come ha vissuto la pandemia?

“In un certo senso è stata una prigione, ma ho fatto tutto quella che avrei dovuto fare se non ci fosse stata. Ho la fortuna di avere un locale donato da mio padre e che ho trasformato a 17 anni in palestra. Lì ho tutto ed è il luogo dove mi alleno tuttora e dove vado a qualsiasi ora, senza vincoli.

L’unica cosa che non mi va giù della pandemia è che le paralimpiadi si sono svolte un anno dopo e a 50 anni un anno in più o in meno fa”.

L’unica costante della sua vita è sempre stato lo sport. Qual è il messaggio forte che le dà lo sport in ogni momento?

“Con lo sport mi sono fermato solo dopo che ho avuto l’incidente, ma poi c’è sempre stato. Lo pratico soprattutto per benessere fisico e mentale. Mi dà l’energia per affrontare il quotidiano. Non so se senza lo sport, sarei arrivato ai vari traguardi di vita. Lo sport è stato una cura per la mente. A 19 anni ritrovarsi senza l’uso delle mani e delle gambe, per me che ero già uno sportivo e praticavo molti sport, l’impatto è stato duro. La rabbia si è trasformata in qualcosa di positivo. Devo dire grazie allo sport se sono ancora qui”.

Dal nuoto all’handbike con tutto ciò che comporta il passaggio…

“Questi due sport hanno in comune la fatica e il benessere fisico dopo la fatica. Quando praticavo nuoto, allo stesso tempo lavoravo perché anni fa i disabili facendo sport non riuscivano a sostenersi economicamente.

A differenza del nuoto, il ciclismo è uno sport di resistenza. Con l’avanzare dell’età puoi ancora essere vincente. Sono due sport opposti. Nel nuoto manca il mezzo meccanico ossia l’handbike da dover adeguare alla propria condizione fisica. Vi è stato un lavoro metodico. Passare al ciclismo è stato davvero difficile: una resilienza in una resilienza. È stata una scommessa in tutto e per tutto”.

Luca, il suo palmarès racconta di un campione che ha vinto di tutto, ma non gli viene riconosciuta l’attenzione che merita e quindi trovare sponsor è difficile. Come la vive?

“Chi mi sta accanto si rende conto di questo e me lo fa notare. Di certo, la visibilità mediatica ti fa avere gli sponsor che sono necessari per sostenere a livello economico la preparazione di un atleta a questi livelli.

Il mio sponsor storico è di  Terlizzi, un’azienda florovivaistica, il cui proprietario ha deciso di sovvenzionarmi perché sono da stimolo per i suoi collaboratori. Le handbike e i suoi componeenti si evolvono anno dopo anno, oltre la manutenzione, per essere al passo ed essere competitivi devi investire. Ringrazio anche la mia associazione che mi aiuta in questo.

Nonostante sia quello che abbia vinto di più nella mia disciplina, i media nominano le solite persone. Non so darmi spiegazione.

Ho apprezzato però che quest’anno la staffetta team relay è stata mandata in onda per intero. La gente si è resa conto degli sforzi che facciamo noi handbiker e si è emozionata. Io lo dico da tanto tempo che questo sport è uno spettacolo. Finite le Paralimpiadi, torneremo di nuovo nell’oblìo. Ne son sicuro”.

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Oltre allo sport, quali sono le sue passioni?

“Le mie passioni sono: stare con mio figlio e giocare con lui recuperando tutto il tempo lontano per degli allenamenti”.

Anche suo figlio ha un animo sportivo?

“Gli piace il nuoto. La pandemia l’ha fermato, ma è un bel ragazzone. Neppure dodici anni e mi ha già superato in altezza. Spero ritorni a fare nuoto perché è anche teraputico per una postura corretta”.

Quali sono i progetti futuri?

“Lo sport mi fa stare bene e non lo lascerò. L’obiettivo futuro è di andare a Parigi 2024. Mancano tre anni. Fino a quando resisto, sto bene e mi dà un obiettivo di vita, continuo”. 

Sandy Sciuto