Notizia di questi giorni è che Lufthansa ha rimborsato il prestito del Governo tedesco, conseguente alla pandemia, per circa 2,1 miliardi.
Quella società si è rimessa in carreggiata rientrando nella normalità e, siccome ha i conti in ordine, ha restituito il denaro che a suo tempo – nel periodo di crisi – ricevette dallo Stato.
Il confronto con Alitalia è immediato perché la cosiddetta “Compagnia di bandiera” italiana è stata una macchina mangia soldi, tanto che nell’ultimo decennio ha letteralmente bruciato fra i dodici e i tredici miliardi, risorse pagate faticosamente dai contribuenti italiani.
Uno scempio finanziario che si può paragonare all’altro in campo bancario, quando nel Monte dei Paschi di Siena è entrato lo Stato che, fino ad oggi, ha bruciato fra i quattro e i cinque miliardi.
Non vorremmo che lo stesso scempio si verificasse con l’Ilva di Taranto ora che lo Stato – attraverso Invitalia – è entrato in maggioranza con il sessanta per cento del capitale.
Si tratta di una maledizione? Non sappiamo, certamente di una incapacità politica.
Le cause che hanno creato il disastro Alitalia sono almeno due. La prima riguarda l’enorme numero di dipendenti (undicimila) non certo necessari se la Compagnia fosse stata gestita con criteri di sana conduzione. Probabilmente sette/ottomila dipendenti sarebbero stati sufficienti. Ovviamente un esubero di tre/quattromila dipendenti ha un costo insopportabile che genera perdite.
Ma c’è di più. Questi dipendenti, di ogni categoria e livello (piloti, assistenti di volo, personale di terra, eccetera), hanno goduto di stipendi fuori mercato, nettamente superiori a quelli che pagano tutte le altre compagnie del mondo. Da più parti viene stimato un flusso di almeno un terzo, cioè il trenta/trentacinque per cento in più. Anche questo ha creato il disastro economico di quella Compagnia.
Vi è un’altra ragione e cioè la cattiva conduzione da parte di Consigli di amministrazione di estrazione politica, non sempre formati da competenti, anzi da chi teneva larga la borsa, dispensando favori a destra e a manca e con essi risorse finanziarie che hanno indebitato continuamente la Società. Anche in questo caso lo zampino della politica ha creato il disastro.
Di volta in volta il Consiglio di amministrazione chiedeva aiuto alle casse dello Stato, che ha risposto sempre prontamente, rimpinguando quanto serviva per portare avanti quella sciagurata gestione, anche per coprire le magagne che i propri delegati politici commettevano, tutti i giorni, per favorire questo o quello.
Poi, a un certo punto, l’Unione europea ha detto basta e quindi ha ammonito i diversi governi italiani di non intervenire più sul capitale sociale di Alitalia. Ma intanto le perdite correvano e quindi in qualche modo bisognava fornire le risorse finanziarie necessarie.
Cosicché, i diversi governi hanno trovato l’espediente di far prestiti chiamati “ponte”, con la riserva formale che essi fossero restituiti, come è accaduto nel caso di Lufthansa prima citato.
Ma le due vicende sono profondamente diverse. Mentre la compagnia tedesca è sana, ha i conti in ordine, paga stipendi di mercato e funziona bene producendo utili, quella italiana ha tutti gli elementi indicati al contrario e quindi ha perso come un colabrodo.
Cosicché, poco tempo fa, l’Unione europea ha comunicato che considera i prestiti per gli oltre 800 milioni di euro come aiuti di Stato, con ciò violando le norme sulla concorrenza e quindi preannunciando l’apertura di una procedura di infrazione.
Il Governo italiano non sa come fare perché Alitalia in amministrazione straordinaria non è in condizione di restituire il “prestito”, anzi ha bisogno di ulteriori risorse per pagare gli stipendi.
Come è noto, la nuova compagnia di Stato, Ita (Italia trasporto aereo), inizierà la propria attività il 15 ottobre, mentre Alitalia la cesserà il 14 ottobre.
Ita sta assumendo con regolamento interno 2.800 dipendenti, ai quali pagherà uno stipendio di mercato come tutte le altre compagnie concorrenti, però ha rinunciato a comprare il marchio Alitalia, per cui è stata formulata la sproporzionata richiesta di 290 milioni. Altro esempio di stupidità.