Un confronto su questioni strutturali e non contingenti: ospite di questo Forum con il QdS, alla presenza del direttore Carlo Alberto Tregua, il presidente del Consiglio di Stato, Luigi Maruotti.
Presidente, qual è lo stato attuale della Giustizia amministrativa italiana?
“Direi che funziona molto bene. È in grado di dare risposte in tempi ragionevoli, al di sotto della media europea. Un enorme contributo ai programmi di smaltimento, ai quali ho partecipato costantemente da presidente di diverse sezioni del Consiglio di Stato, lo hanno certamente fornito sia un proficuo utilizzo delle banche dati, sia la digitalizzazione. Un processo di informatizzazione che ha permesso e agevolato lo svolgimento in modalità telematica del procedimento amministrativo, iniziato già negli anni Ottanta, che non solo è stato preso a modello da altri Paesi ma che ha anche consentito un’importante accelerazione nelle tempistiche. Numeri estremamente lusinghieri che emergono anche dalla Relazione che ho avuto modo di elaborare e leggere in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario e agevolati da alcune tipologie di processi amministrativi che, in base alle regole procedurali che li contraddistinguono, possono essere esaminati e risolti in tempi rapidi”.
Una digitalizzazione nient’affatto giunta al punto finale…
“Assolutamente, di lavoro ce n’è ancora da fare. Ma, come dicevo, i numeri sono molto incoraggianti. In base all’ultimo rilevamento in materia di appalti, per esempio, il tempo medio per una decisione è di 148 giorni che nel caso della sezione di Palermo scende a 139”.
Dunque, il Cga, il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, è diventato a tutti gli effetti una sezione?
“Uno status per il quale ho insistito e su cui ho posto l’accento in occasione dell’inaugurazione dell’ultimo anno giudiziario”.
Uno scenario positivo anche perché la rapida risoluzione delle controversie ha notevoli ricadute sul Pil e sull’economia del Paese in generale, è corretto?
“Eccome. Circa le tempistiche, poi, bisogna anche tenere conto di un altro importante fattore: quelli che giuridicamente definiamo ‘termini dilatori’. A tutela e garanzia delle parti deve intercorrere un certo lasso di tempo tra il deposito del ricorso e la sua trattazione, rappresentato appunto da ‘termini dilatori’. Se consideriamo anche quei giorni, ecco che emerge il quadro di una giustizia amministrativa ancora più snella e rapida. I numeri, dicevo, sono incoraggianti. Ma si può e si deve ulteriormente migliorare. Il mio auspicio è che venga previsto un format informatico che consenta agli avvocati che propongono il ricorso di ridurre al minimo possibili errori processuali: una sorta di alert che avverta se il ricorrente ha omesso di indicare una parte essenziale del ricorso. Oppure un segnale qualora si sia superato il numero massimo di pagine consentite: la sintesi consente una maggiore produttività dei magistrati. Insomma, un sistema automatico che dia la certezza al legale che il ricorso sarà esaminato e non dichiarato inammissibile”.
Dal punto di vista della pianta organica, qual è la situazione attuale?
“Come in altri contesti presenta varie scoperture. Va precisato, comunque, che nell’ambito amministrativo il fabbisogno è molto più contenuto: stiamo parlando di meno di 500 persone, suddivise in circa 120 al Consiglio di Stato e intorno a 350 ripartite tra i vari Tribunali amministrativi d’Italia. Tuttavia, un numero superiore di giudici lo reputo auspicabile: permetterebbe di velocizzare ulteriormente i procedimenti, accelerando di conseguenza le risposte e le decisioni. Il dato di 148 giorni è certamente ragguardevole, ma se scendesse ancora sarebbe solo positivo”.
I magistrati fuori ruolo non costituiscono un problema di organico aggiuntivo?
“In realtà talvolta è la legge stessa a stabilire che un magistrato debba fare parte di un qualsivoglia organismo. Il Parlamento, comunque, ha fissato il limite numerico per i magistrati amministrativi fuori ruolo e dunque non vi sono problemi di natura organizzativa”.
Il Presidente Mattarella in alcune occasioni ha ammonito affinché in Italia vengano redatte norme chiare. Qual è il suo punto di vista?
“Indubbiamente la chiarezza è un elemento importante di un testo di legge: se una disposizione è comprensibile, essa è applicabile in modo semplice e uguale per tutti. Se, viceversa, non lo è, allora il rischio è quello di una disparità di trattamento rispetto alla sua attuazione. Sul punto, però, mi preme sottolineare l’importanza del ruolo di ‘consulenza tecnica’ del Consiglio di Stato che, nell’ambito dell’articolo 100 della Costituzione, svolge un rilevante compito per quanto riguarda la normazione secondaria, quella relativa ai regolamenti governativi. L’esecutivo predispone un testo che viene poi esaminato. Ovviamente il tempo per elaborare delle disposizioni più sintetiche e chiare, dunque anche più ‘inseribili’ nel contesto giuridico, è maggiore rispetto a una legge, che viceversa ha dinamiche più convulse. Per i regolamenti vengono proposte delle formulazioni linguistiche diverse, basate molto spesso sulla semplificazione. Un impegno che il Consiglio di Stato, però, si è preso e si prende anche per la normazione primaria. Ciò è avvenuto, per esempio, non solo due anni fa, con il nuovo Codice degli Appalti, ma anche nel 2001 quando, me ne occupai in prima persona, con il Testo Unico degli Espropri, il Dpr nl 327, venne conglobata in un testo di 59 articoli una legislazione risalente al 1865. Un ruolo di intervento tecnico nella sfera legislativa che, in realtà, il Consiglio di Stato ha sempre avuto: basti pensare al Regio Decreto n. 1.054 del 26 giugno 1924, il Testo Unico che, coerentemente con il successivo articolo 100 della Costituzione, fa riferimento alle funzioni di ‘consulenza giuridico-amministrativa’ del Consiglio di Stato”.
La Giustizia amministrativa è influenzata dal comportamento della Pubblica amministrazione?
“Più che influenzata direi che della Pubblica amministrazione ne è il giudice. La qualità dell’azione amministrativa può incidere sul numero dei ricorsi. Il rispetto della legalità da parte della Pubblica amministrazione implica inevitabilmente che gli interessati non tendano a proporre ricorsi poi destinati a essere respinti. Sebbene questo non sia l’unico aspetto da prendere in considerazione. A volte la proposizione di un ricorso può incidere sulla percezione del senso di giustizia che un soggetto ha. Succede, infatti, che si presentino ricorsi relativi ad atti perfettamente legittimi. Ma io posso ritenere comunque di avere subito un’ingiustizia e se ci sia o non ci sia, lo voglio sentire da un giudice. Però che ci si rivolga a un magistrato è una cosa positiva: i ricorsi sono la soluzione fisiologica di uno Stato democratico di diritto”.