Inchiesta

La lunga strada per riattivare i dissalatori siciliani. Obsoleti ed energivori, va cambiata la tecnologia

PALERMO – L’emergenza idrica in Sicilia resta ancora lontana da una risoluzione. Un problema ancestrale aggravato dal cambiamento climatico in atto e dall’aumento delle temperature. Le riserve idriche dell’Isola, alimentate principalmente dalle precipitazioni, si sono ridotte in maniera costante negli ultimi decenni. A rivelarlo sono i dati diffusi dal Dipartimento regionale dell’Autorità di bacino del Distretto idrografico della Sicilia.

A luglio 2014, l’acqua presente nei bacini e negli invasi siciliani corrispondeva a 533,49 Milioni di metri cubi. A dieci anni di distanza l’acqua era 263,47 Mmc: un ammanco di circa il 50%. Dato che lo scorso agosto è crollato a 227,91 Mmc. In dieci anni l’acqua disponibile è calata del 50% e, dallo scorso anno, ha subito un ulteriore dimezzamento.

Soluzioni alternative a quello degli invasi

Si tratta di un trend che ha spinto la Regione Siciliana a cercare soluzioni alternative a quello degli invasi. Da qui, l’idea del ripristino dei dissalatori. Ma, secondo quanto filtra dai dipartimenti palermitani, ben due dei tre impianti disponibili necessitano di un completo restyling. E l’eventuale entrata in funzione dei dissalatori nell’Isola, a fronte di un impegno di spesa da 90 + 10 milioni di euro, resta ancora di là da venire. In sintesi: quella appena trascorsa non sarà affatto l’ultima estate in cui la Sicilia sconterà l’emergenza siccità. E a fronte di sistemi obsoleti, c’è chi nel mondo ha trovato soluzioni alternative per garantire un afflusso costante a regioni che soffrono in maniera ben peggiore l’assenza di acqua: tra queste, l’Arabia Saudita. Ci arriveremo più avanti.

Il commissario delegato all’emergenza idrica e presidente della Regione, Renato Schifani, ha chiesto lo scorso 12 settembre di poter assumere la responsabilità dell’attuazione degli interventi relativi ai dissalatori. Una richiesta che mira a trasformare i dissalatori da strumenti emergenziali a infrastrutture permanenti, capaci di garantire un approvvigionamento idrico costante e sostenibile. Tutto, però, sarà gestito a livello centrale da Nicola Dell’Acqua, Commissario Straordinario Nazionale per l’adozione di interventi urgenti connessi al fenomeno della scarsità idrica. “La riattivazione in Sicilia dei tre dissalatori (Trapani, Gela e Porto Empedocle, ndr), potrà avvenire in tempi compatibili con l’emergenza idrica che sta coinvolgendo l’Isola. E questo grazie alla mia richiesta di poteri in deroga ribadita durante la riunione della Cabina nazionale di regia per la crisi idrica, presieduta dal ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini”, ha dichiarato Schifani.

Crisi idrica, scontro politico a distanza tra Roma e Palermo

Nel frattempo permane lo scontro politico a distanza tra Roma e Palermo. Tema: gestione della crisi idrica. Durante l’ultimo question time alla Camera, il ministro per la Protezione civile, ed ex presidente della Regione Siciliana, Nello Musumeci ha dichiarato che “il 30 settembre, in due riunioni, è stata esaminata la bozza di un piano per ulteriori misure che la Regione ha chiesto di finanziare con risorse dello Stato; al momento il piano non risulta restituito dal commissario delegato all’emergenza idrica Renato Schifani”.

Un piano di interventi che include oltre 130 progetti

L’attuale presidente respinge però tutto al mittente, dichiarando attraverso l’ufficio stampa di aver rispettato le scadenze imposte per un “piano di interventi che include oltre 130 progetti, elaborati in risposta alle richieste pervenute da Ati, gestori idrici e da Comuni. Oltre a 200 interventi di riparazione e acquisto di autobotti per i Comuni per oltre 8 milioni di euro”. L’Isola ha nel frattempo beneficiato di oltre 20 milioni di euro per interventi urgenti: 52 strutturali, ricerca di nuovi pozzi, nuove sorgenti, nuove condotte e sistemazione di reti di acquedotti per 19 milioni e 124 mila euro. Oltre 86 interventi per l’acquisizione di autobotti per 760 mila euro, e altri lavori straordinari.

La prossima estate i dissalatori siciliani non potranno essere in funzione

Il presidente della Regione, sempre lo scorso settembre, si è anche sbilanciato nel merito della realizzazione e/o ripristino dei dissalatori. Forse in maniera troppo ottimistica. Di certo, sulle tempistiche. La dotazione finanziaria sarà garantita da 90 milioni provenienti dall’Accordo di coesione e 10 da fondi regionali. Con questi “faremo anche un dissalatore temporaneo a Porto Empedocle” ha spiegato Schifani parlando del “rischio di non potere realizzare gli impianti entro la prossima stagione a causa dei lunghi tempi richiesti dalle procedure ordinarie”. Ma secondo quanto filtra dagli stessi dipartimenti regionali, la prossima estate i dissalatori siciliani non potranno essere in funzione. E questo al di là della volontà politica – unanime, al momento – o degli aspetti burocratici. Il problema resta la difficoltà di reperimento dei materiali su un mercato estremamente di nicchia a livello internazionale. Proprio in questi giorni i tecnici della Regione si sono recati nei vari impianti per constatare lo stato dell’arte. E non arrivano buone notizie né da Gela né da Trapani.

La storia dei dissalatori in Sicilia inizia negli anni ’90

La storia dei dissalatori in Sicilia inizia negli anni ’90, quando vengono realizzati i primi impianti per far fronte alle emergenze idriche dell’Isola e in aree aride come l’entroterra trapanese, quello nisseno e l’agrigentino. La tecnologia utilizzata in quel momento era basata sulla termocompressione: un sistema altamente energivoro. Impianti come quello di Trapani, Gela e Porto Empedocle furono progettati per rispondere a crisi temporanee, con una durata operativa limitata a pochi anni. E il loro ciclo vitale si concluse infatti nell’arco di tre anni. “Gli impianti a termocompressione (come quelli di Trapani e Gela, ndr) sono stati dismessi o considerati obsoleti, poiché i costi di gestione risultano essere di circa cinque o sei volte superiori rispetto ai moderni impianti a osmosi inversa. Quest’ultima tecnologia, che utilizza membrane per separare l’acqua dai sali, è molto più efficiente dal punto di vista energetico e rappresenta oggi la soluzione più utilizzata a livello globale”, spiegano i tecnici.

L’ipotesi della realizzazione di un dissalatore connessa al ponte sullo Stretto – come da indiscrezione filtrata a margine della presentazione delle integrazioni documentali fornite al Mase dalla Stretto di Messina proprio lo scorso 12 settembre – a oggi sembra molto lontana dalla sua concretizzazione. Se non fantascientifica. A occuparsi di quel dissalatore sarebbe dovuta essere la WeBuild. Il colosso in predicato della realizzazione del collegamento stabile tra le due sponde dello Stretto, interpellato dal Quotidiano di Sicilia, spiega come non ci siano “informazioni da condividere al momento. Finché il progetto ponte non sarà approvato, resta tutto sulla carta”. La possibilità di un dissalatore ulteriore rispetto a quelli già esistenti, non sarà della partita ponte.

Tra gli impianti meno obsoleti vi è quello di Porto Empedocle, il primo a tornare in funzione per via della presenza di infrastrutture civili ancora funzionanti, come le opere di presa a mare e le condotte di trasferimento dell’acqua. Il know how tecnico non è invece di dominio della Regione Sicilia: un aspetto non di secondo piano. Tempi dunque molto più lunghi per gli altri, come confermato dai dipartimenti chiamati in causa. Secondo gli esperti, il ripristino di un dissalatore potrebbe richiedere circa 12 mesi. A questi vanno aggiunti i tempi per reperire sul mercato mondiale le membrane osmotiche di cui Spagna e Paesi del Golfo Persico stanno facendo incetta negli ultimi anni. Da qui la certezza che né Trapani né Gela rivedranno a breve i macchinari in funzione.

L’impatto ambientale della dissalazione

Un aspetto da considerare è poi quello dell’impatto ambientale della dissalazione. Gli impianti producono salamoia, una soluzione concentrata di sali che viene rilasciata in mare. Se non gestita a dovere, questa può alterare gli equilibri degli ecosistemi marini locali, con potenziali effetti negativi su flora e fauna. Il futuro della gestione idrica in Sicilia dipenderà in larga misura dalla capacità di realizzare un sistema integrato di approvvigionamento che combini l’utilizzo di dissalatori con altre fonti, come le riserve idriche naturali e il riciclo delle acque reflue. In questo contesto, il ruolo del Commissario nazionale per la scarsità idrica sarà cruciale per garantire che gli impianti di dissalazione vengano realizzati nei tempi previsti e con le tecnologie più avanzate disponibili sul mercato.

Il modello green che viene dall’Arabia: l’impianto alimentato dall’energia solare

Uno dei Paesi in grado di superare il problema della siccità attraverso la tecnologia è stata l’Arabia Saudita dove opera Acwa power, la più grande azienda privata al mondo nella dissalazione dell’acqua. “Oggi soddisfiamo le esigenze idriche di oltre 20 milioni di persone in tutto il mondo tramite la desalinizzazione”, ha affermato in una nota dello scorso 29 settembre l’amministratore delegato, Marco Arcelli. 

In totale, Acwa Power produce 7,6 milioni di metri cubi di acqua desalinizzata al giorno, con centri, oltre in Arabia, in Bahrein, Oman ed Emirati Arabi Uniti. In quest’ultimo Paese, “i progetti di punta hanno una capacità contrattuale pari a un impressionante totale di 2,8 milioni di m3/giorno di acqua desalinizzata per oltre quattro milioni di residenti nel paese”.

Per l’Arabia il mare non è solo strategico: è vitale. In media il 70% dell’acqua potabile proviene dalla desalinazione, ma ci sono città dove si toccano punte del 99%. Sebbene si tratti di una pratica ormai consolidata, essendo presente da oltre cinquant’anni, l’obiettivo è abbandonare sempre di più la tecnologia termica – che presenta costi importanti, economici e ambientali – per fare spazio a modelli alimentati grazie alle energie rinnovabili.

Tra i progetti più avanzati c’è “Jubail 3A Iwb”, il primo impianto di dissalazione dell’acqua integrato ad energia solare in Arabia Saudita, strategico per Dammam e Riyadh. Infatti, con un valore di investimento di 650 milioni di dollari, l’impianto idrico presenta una capacità di 600.000 m3 di acqua potabile al giorno. Utilizza la tecnologia di osmosi inversa (RO, Reverse Osmosis), un metodo avanzato e ad alta efficienza per la desalinizzazione dell’acqua. La scelta di questa tecnologia si basa sulla sua efficienza energetica e sui costi operativi relativamente ridotti rispetto ad altre tecniche, come la termocompressione o la distillazione multi-stage: quelle utilizzate a Trapani e Gela, per intenderci. Il progetto è supportato da una centrale solare con una capacità installata di 45,5 megawatt, in grado di soddisfare il 20 per cento del consumo energetico giornaliero richiesto.

Proprio i sauditi stanno puntando sempre più sulle rinnovabili come parte del programma Vision 2030, il piano strategico del governo per ridurre la dipendenza del Paese dal petrolio e sviluppare settori economici alternativi, tra cui quello dell’energia rinnovabile e della gestione idrica sostenibile. Lo stabilimento arabo rappresenta un tassello di questa strategia, poiché non solo fornisce acqua potabile, ma si inserisce anche in un contesto di riduzione dell’impronta ambientale e di miglioramento delle infrastrutture idriche del Paese.

Acwa Power ha in programma di continuare a sviluppare impianti di desalinizzazione in Arabia e in altre parti del mondo, sfruttando la tecnologia dell’osmosi inversa e integrando sempre più fonti energetiche rinnovabili, come il solare e l’eolico, nei processi produttivi. Questo approccio mira a garantire un futuro più sostenibile dal punto di vista ambientale e a lungo termine nella produzione di acqua potabile. Affrontare la crisi idrica attraverso l’energia pulita e le soluzioni ingegneristiche più moderne al mondo, si può. L’Arabia lo sta dimostrando. Ora tocca alla politica siciliana comprenderlo e metterlo in atto. Per evitare una nuova Blufi.