Una vasta operazione della Guardia di finanza di Caltanissetta con l’esecuzione di diverse misure cautelari restrittive è in corso nella Sicilia centro-orientale, tra Enna, Catania e Messina. Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di furto ed estorsione aggravata dal metodo mafioso. I provvedimenti sono stati emessi dalla Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta. Nel blitz sono impegnati oltre 100 finanzieri, mezzi aerei e terresti e unità specializzate del Corpo.
Sono 12 i destinatari delle misure di custodia cautelare eseguite all’alba dai finanzieri del Comando provinciale di Caltanissetta. Sono indagati – in concorso e a vario titolo – di furto ed estorsione aggravata dal metodo mafioso. Per nove è stata disposta la custodia cautelare in carcere, per tre i domiciliari. Il provvedimento, emesso dal gip di Caltanissetta su richiesta della Direzione distrettuale antimafia nissena, giunge al culmine di complesse indagini condotte dal Gico di Caltanissetta e dai finanzieri della locale sezione di Polizia giudiziaria che hanno permesso di svelare presunte ‘interferenze’ di due fratelli, imprenditori agricoli attivi nell’Ennese, sulle aziende loro confiscate a seguito di procedimento di prevenzione. In particolare, i due, attraverso dipendenti ‘fidelizzati’, avrebbero inciso nelle dinamiche aziendali a più livelli, talvolta anche attraverso direttive in contrasto con quelle dell’amministratore giudiziario, arrivando alla presunta sottrazione di beni strumentali all’attività agricola per fini personali.
Inoltre, in danno delle stesse aziende, oltre ai ricorrenti furti, sarebbero state accertate diverse forme di intimidazione nei confronti dei lavoratori assunti dall’amministrazione giudiziaria, costretti a interrompere il rapporto di lavoro. Le minacce non sarebbero state direttamente avanzate dai due fratelli, per non sovraesporsi, ma si sarebbero avvalsi di persone a loro vicine, di ‘fiancheggiatori’, per “indurre i dipendenti assunti dall’amministratore giudiziario ad abbandonare il posto di lavoro”. Minacce, spiegano gli investigatori delle fiamme gialle, che sarebbero avvenute con “le classiche modalità proprie di chi esercita una capacità di intimidazione mafiosa, tanto che le vittime non solo non hanno sporto denuncia, ma avrebbero altresì sottaciuto al datore di lavoro, l’amministratore giudiziario, le reali ragioni del repentino recesso dal rapporto di lavoro appena instaurato”. I due fratelli avrebbero così assicurato la presenza esclusiva di personale di comprovata fedeltà nelle imprese loro sequestrate.