Cronaca

Mafia, colpo al clan di Brancaccio, misure cautelari per 25

La Polizia di Stato ha eseguito, su delega della Dda di Palermo che ha coordinato le indagini, una misura cautelare, a carico di 25 persone accusate di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione aggravata, incendio, trasferimento fraudolento di valori aggravato, autoriciclaggio, detenzione di stupefacenti ai fini di spaccio e contrabbando di Tabacchi Lavorati Esteri.

Nell’operazione “Maredolce 2” in carcere sono finiti: Luigi Scimò, 56 anni, Salvatore Testa, 57 anni, Giuseppe Di Fatta, nato in Germania, 49 anni, Salvatore Giordano, 54 anni, Patrizio e Aldo Militello, di 41 e 46 anni, Giovanni De Simone, 57 anni, Pietro Di Marzo, 30 anni, Girolamo Castiglione, 65 anni, Stefano e Gioacchino Micalizzi, 57 e 32 anni, Vincenzo Machì di 57 anni.

Gli arresti domiciliari sono stati disposti per Lorenzo Mineo, 59 anni, Filippo Maria Picone, 67 anni, Francesco Salerno, 49 anni, Enrico Urso, 35 anni, Santo Licausi, 36 anni, Paolo Leto, 28 anni, Gaetano Li Causi, 29 anni, Caterina Feliciotti, 34 anni, Paolo Rovetto, 25 anni, Pietro Rovetto, 44 anni.

Divieto di dimora per Giovanna D’Angelo, 53 anni, Pietro Mendola, 47 anni, Anna Gumina, 50 anni.

Il mandamento mafioso di Brancaccio

L’operazione “Maredolce 2” condotta dalla Squadra mobile della Questura palermitana, ha fatto luce su una delle articolazioni territoriali chiave nell’economia di cosa nostra: il mandamento mafioso di Brancaccio e, in particolare, la famiglia di corso dei Mille.

Gli investigatori hanno radiografato l’economia di un clan mafioso già colpito, nel luglio del 2017, dalla prima operazione “Maredolce”.

Droga e case di riposo

La droga, il business delle slot machine, il controllo di alcune case di riposo, le estorsioni sono solo alcuni degli interessi perseguiti dagli affiliati e documentati dalle indagini dei poliziotti.

Nel corso dell’operazione sono stati sequestrati all’organizzazione beni per un valore approssimativo di un milione di euro.

Il pizzo lo pagavano tutti

Il pizzo a Palermo lo pagano tutti.

Lo “racconta” l’ultima indagine della squadra mobile riuscita a ricostruire la mappa delle estorsioni nella zona di Brancaccio e Corso dei Mille.

Negozi di detersivi, di calzature, bar, autosaloni, ristoranti, macellerie perfino l’ambulante che vende pesce costretto a versare un euro per ogni chilo di calamari, orate o cozze acquistate. Negli anni di crisi, anche Cosa nostra ne risente, tutto serve per fare cassa e continuare a sostenere le famiglie dei mafiosi finiti in carcere. E i due capi della cosca Luigi Scimò, impresario di pompe funebri con un’attività in via Amedeo D’Aosta, e Salvatore Testa, che aveva fino a qualche tempo fa un’attività di rivendita di autoricambi di auto, non tralasciavano nulla.

“Un pensierino per i cristiani nelle celle”

“Tutti devono dare un pensierino per i cristiani nelle celle”, diceva Testa, non sapendo di essere intercettato, parlando con i suoi uomini.

I due uomini d’onore grazie a società compiacenti riuscivano a piazzare inoltre le slot machine e video poker in diverse zone della città. Uova dalla galline d’oro che fruttavano tanti soldi.

La rapina “sbagliata”

Tutto ben celato da società di comodo intestate a prestanome e teste di legno. E il loro business doveva essere preservato anche dalle rapine. Il 26 giugno del 2016 tre giovani entrarono nella sala bingo Taj Mahal in via Emerico Amari a Palermo e fecero una rapina.

Colpo che danneggiò la “famiglia”, visto che nella sala bingo in amministrazione giudiziaria, grazie alle società compiacenti, Testa e Scimò, avevano piazzato le loro “macchinette”. I due boss riuscirono a ritrovare i tre giovani rapinatori e li “interrogarono”. Le microspie dei poliziotti piazzate in Largo Cammareri Scurti hanno intercettato l’interrogatorio.

“Che è successo. Alla fine siamo sballati di testa, eravamo senza soldi”, diceva uno dei giovani rapinatori.

E Salvatore Testa: “Ti rivolti contro di noi. Ti rivolti?”.

“E io non sapevo una cosa di questa. – rispondeva il rapinatore – Una cosa era del curatore, se no io metto il freno a mano. Non Mi permetto di fare una cosa di queste”.

Il sistema dei prestanome

Il sistema dei prestanome usato per piazzare le slot machine, gestite quasi in regime di monopolio, è stato utilizzato, secondo gli inquirenti, anche per aprire case di riposo intestate formalmente a incensurati.

Gli agenti del commissariato Brancaccio ne hanno censite numerose, nate come funghi negli ultimi anni, senza autorizzazioni e con gestioni familiari. Ne sono state trovate in via Pianel e in via Pigafetta. Testa e Scimò, inoltre, programmavano la loro attività in un appartamento in via Fratelli Campo 33 a Palermo. Qui incontravano anche i boss di altri quartieri, di altri paesi della provincia e di altri capoluoghi come Pietro Salsiera, Sergio Napolitano, Filippo Bisconti e Leo Sutera.

Sequestri di droga e tabacchi

Nel corso dell’inchiesta sono stati effettuati anche numerosi sequestri di droga e di tabacchi di contrabbando: segno che la cosca controllava tutti i traffici e cosa accadeva sul territorio. Nulla sfuggiva all’organizzazione mafiosa che in poco tempo è riuscita anche a trovare gli autori del furto dello scooter rubato al genero del capomafia.