Giustizia

Mafia dei Nebrodi, al via il maxiprocesso a Messina

Comincia oggi nell’aula bunker di Messina il maxiprocesso alla mafia dei Nebrodi.

Imputati, davanti al tribunale di Patti, novantasette tra boss, insospettabili professionisti e gregari dei clan tortoriciani.

In nove, davanti al gip, hanno scelto il rito abbreviato e vengono giudicati separatamente.

Le parti civili costituite finora sono ventisei.

In aula anche Antoci

Il procedimento nasce da un’inchiesta della Dda di Messina guidata dal procuratore Maurizio de Lucia che ha decapitato la mafia dei Nebrodi e ha scoperto una truffa milionaria all’Ue che ha portato nelle casse dei clan milioni di euro di fondi europei.

Oggi in aula sarà anche Giuseppe Antoci, che quand’era presidente del Parco dei Nebrodi ideò l’omonimo protocollo per combattere il sistema mafioso e venne “punito” con un agguato per fortuna senza conseguenze.

“Fu – ha dichiarato Antoci – un’azione senza precedenti contro la mafia dei terreni, che era ricca, potente e violenta, ed è per questo che quella notte volevano fermarmi, per bloccare l’idea di una legge nazionale. Io sarò presente nell’Aula Bunker per guardarli dritto negli occhi, uno per uno, senza paura, senza indugi e con l’unica forza che ho: quella dello Stato”.

L’accusa in aula è rappresentata dall’aggiunto Vito Di Giorgio e dai pm Fabrizio Monaco, Francesco Massara e Antonio Cerchietti.

I M5s in Commissione antimafia

“Questo processo – hanno dichiarato i componenti del M5S della Commissione parlamentare Antimafia – lo si deve anche al ‘Protocollo dei Nebrodi’ voluto da Giuseppe Antoci che è stato presidente del parco dei Nebrodi e che con grande coraggio ha contrastato questa mafia subendo pure un gravissimo attentato. Non bisogna mai distrarsi nella lotta alla mafia, dopo le grandi operazioni bisogna seguire con attenzione il processo e stare vicini alle persone come Antoci, che hanno dimostrato come una buona azione politica può fermare lo strapotere delle mafie”.

Come funzionava il meccanismo

A fiutare il business dei fondi Ue erano stati i clan storici di Tortorici, paese dei Nebrodi, i Batanesi e i Bontempo Scavo, che, anche grazie all’aiuto di un notaio compiacente e di funzionari dei Centri Commerciali Agricoli (Cca) che istruiscono le pratiche per l’accesso ai contributi europei per l’agricoltura, hanno incassato fiumi di denaro.

I due clan, invece di farsi la guerra, si erano alleati, spartendosi virtualmente gli appezzamenti di terreno, in larghissime aree della Sicilia e anche al di fuori dalla regione, necessari per le richieste di sovvenzioni.

“Ciò, – scrisse il gip che dispose gli arresti su richiesta della Dda di Messina – con gravissimo inquinamento dell’economia legale, e con la privazione di ingenti risorse pubbliche per gli operatori onesti”.

I terreni “liberi”

La truffa si basava sulla individuazione di terreni “liberi” (quelli, cioè , per i quali non erano state presentate domande di contributi).

A segnalare gli appezzamenti utili spesso erano i dipendenti dei Cca che avevano accesso alle banche dati. La disponibilità dei terreni da indicare era ottenuta o imponendo ai proprietari reali di stipulare falsi contratti di affitto con prestanome dei mafiosi o attraverso atti notarili falsi.

Sulla base della finta disponibilità delle particelle, veniva istruita da funzionari complici la pratica per richiedere le somme, poi accreditate al richiedente prestanome dei boss spesso su conti esteri.

All’elenco delle parti civili, fino all’udienza preliminare, mancava ancora la Agea, l’ente che eroga i finanziamenti stanziati dall’Ue per i produttori agricoli, obiettivo del raggiro delle cosche.

L’ente ha tempo fino all’udienza di oggi per costituirsi.