Secondo quanto si è appreso in ambienti investigativi, il boss mafioso Totò Di Gangi, ottant’anni, trovato morto sui binari a Genova nella notte tra sabato e domenica, travolto da un convoglio, sarebbe stato fatto scendere dal treno alla stazione di Genova-Principe perché senza Green pass.
Gli investigatori stanno cercando di ricostruire gli ultimi movimenti di Di Gangi, che aveva lasciato la casa circondariale di Asti, dove era in custodia cautelare, scarcerato perché molto malato.
L’uomo, sceso dal treno, si era incamminato in una galleria ferroviaria dove è stato investito, a quanto pare da un treno merci.
Di Gangi aveva in tasca un biglietto ferroviario con destinazione una città del Sud.
La Procura di Genova ha aperto un fascicolo a carico di ignoti e il sostituto procuratore della Dda Federico Manotti ha disposto l’autopsia, ma la Questura genovese esclude che possa essersi trattato di un omicidio e propende per una disgrazia.
Totò Di Gangi, era un fedelissimo di Totò Riina
Il nome di Di Gangi, storico capomafia ottantenne, è riapparso a ottobre nell’indagine sul resort Torre Macauda, alberghi lusso di Sciacca protagonista di diverse inchieste di mafia e ritenuto di fatto di proprietà del padrino corleonese Totò Riina.
Secondo i pm della Dda di Palermo, coordinati dall’aggiunto Paolo Guido, Di Gangi sarebbe stato uno dei veri proprietari della struttura e per questo la Procura recentemente aveva effettuato una perquisizione nella sua cella.
Secondo gli inquirenti la società che gestisce Torre Macauda, la Libertà Immobiliare, sarebbe di fatto riconducibile al boss Di Gangi e al figlio Alessandro che, attraverso una serie di operazioni illecite, sarebbero tornati in possesso della struttura alberghiera sommersa dai debiti.
Un giro vorticoso di denaro, scatole cinesi, imprenditori compiacenti e sullo sfondo la complicità di un dirigente di banca che avrebbe rilasciato una quietanza per un pagamento di 8 milioni avendone ricevuti solo 4.
L’indagine, molto complessa, aveva portato all’esecuzione di perquisizioni in due filiali della UniCredit di Palermo e alla notifica di otto avvisi di garanzia tra gli altri a Di Gangi, al figlio Alessandro e a un funzionario dell’istituto di credito.