Beni per venti milioni di euro sono stati sequestrati dalla Dia Catania agli eredi di Vincenzo Guglielmino, morto nel dicembre 2018, imprenditore del settore della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani.
Il provvedimento, emesso dal Tribunale, su proposta del direttore della Dia, il generale Giuseppe Governale, riguarda la E. F. servizi ecologici Srl, la G. V. servizi ambientali Srl, immobili, un opificio, terreni, autoveicoli, rapporti bancari e finanziari.
Guglielmino era stato arrestato nel 2017 e nel 2018, con le operazioni Piazza pulita e Gorgoni, con l’accusa di “essere il ‘volto imprenditoriale’ del clan Cappello”.
Secondo la Dda aveva costruito il suo impero economico “grazie alla fattiva collaborazione con il clan”, dal quale “riceveva ‘protezione’ e l’affidamento di importanti appalti pubblici, a fronte di sostentamento economico”.
Le rivelazioni dei pentiti
Di Guglielmino parla, nell’ottobre del 2019, sentito dalla Procura, il collaboratore Vincenzo Pettinati, le cui dichiarazioni entrano nella proposta di sequestro avanzata dalla Dia. Il pentito afferma che esponenti di spicco del clan dei Cursorti definivano gli imprenditori “nostri amici”. Tanto da essere intervenuti su un’altra azienda che aveva fatto ricorso per tre volte contro una gara d’appalto ad Avola vinta da Guglielmino, ricevendo la minaccia dei boss “adesso gli facciamo bruciare tutte cose”.
Secondo Pettinati, “a Giovanni Colombrita interessava Guglielmino” che, ricostruisce il pentito nel verbale, “ogni volta che vincono una gara d’appalto gli mandano 20mila euro” e da “tre anni a questa parte anche 3.000 euro al mese”. Un altro collaboratore di giustizia, Eugenio Sturiale, sentito il 12 aprile del 2010, ricostruisce un incontro tra il boss Orazio Pardo, reggente della cosca Cappello allora latitante, e “un responsabile della sicurezza del Calcio Catania in una ditta di smaltimento rifiuti, nella zona di Motta Sant’Anastasia”.
Per il Tribunale il luogo scelto per l’incontro “d’affari” è la conferma della vicinanza del Guglielmino a Orazio Pardo.
Il Tribunale ricostruisce anche i forti dissidi tra Vincenzo Guglielmino e il figlio Giuseppe che avevano piena autonomia nella gestione delle rispettive aziende ed erano anche contrapposte nella loro espansione e nei rapporti con i vertici della cosca Cappello. I giudici, nel provvedimento, sottolineano come “nel 2013 i rapporti non solo affettivi ma anche lavorativi tra i Guglielmino padre e figlio si erano interrotti già da tempo” e che “erano in concorrenza tra loro nel medesimo settore imprenditoriale, tanto che il figlio accusava il padre di avergli sottratto lavoro persino dopo il suo arresto”.
Ma non solo, scrivono i giudici, “risulta ancora come la competizione tra i due imprenditori avesse ad oggetto anche la gestione di canali e rapporti preferenziali con gli esponenti apicali del clan Cappello”. Per la sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Catania, dagli elementi acquisiti in esito alle indagini espletate si deduce, ad avviso del Collegio, come Guglielmino fosse progressivamente assurto al rango di esponente di spicco del clan Cappello” grazie al suo contributo economico stabile all’associazione.