Cronaca

Mafia e neomelodici, parla Niko, nipote del boss Turi Cappello

“Con certe stupidaggini ho chiuso: vorrò sempre bene a mio zio perchè mi ha aiutato quando ne avevo bisogno, ma non scrivo più canzoni del genere. Ho cambiato musica, parlo d’amore e penso che Falcone e Borsellino siano state due persone perbene che si sono sacrificate per tutti noi”.

Ad affermarlo è Vincenzo “Niko” Pandetta, ex cantante neomelodico catanese convertito al trap travolto dalle polemiche per aver dedicato, due anni fa, una canzone allo zio, Salvatore “Turi” Cappello, uno dei più potenti boss catanesi, al 41 bis.

Nato nel quartiere Cibali, padre tossicodipendente, una famiglia difficile e un passato in carcere per spaccio, Niko Pandetta ha accettato di parlare con l’agenzia Ansa all’indomani della proposta di legge della Commissione parlamentare antimafia che prevede l’aggravante dell’istigazione o dell’apologia della mafia.

Chi è Turi Cappello

Cappello – braccio destro di Salvatore Pillera detto “Turi càchiti” (fattela addosso, la frase che usava dire alle sue vittime prima di sparare) -, era stato tra i protagonisti della terribile faida mafiosa che aveva insanguinato Catania tra la fine degli anni Ottanta del secolo appena trascorso e l’inizio degli anni Novanta.

Latitante, fu arrestato a Napoli dal 1992, ma da allora non ha mai smesso di comandare, almeno secondo quanto sostiene la Procura di Catania anche negli atti del processo nato dall’operazione Penelope del 2017, inviando ordini attraverso i familiari.

Turi Cappello, nel luglio dello scorso anno, era tornato alla ribalta per una lettera inviata al presidente della Repubblica Sergio Mattarella e divulgata da Yairaiha Onlus, associazione che si batte per i diritti dei detenuti, in cui chiedeva “di essere fucilato nel cortile dell’istituto, così la facciamo finita perché, dopo 24 anni, non voglio più morire tutti i giorni, voglio morire una sola volta”.

Il look dei “quàtteri”

Il look di Niko Pandetta che fino a qualche tempo fa aveva esaltato i ragazzi dei “quattèri”, i rioni periferici di Catania – ma quelle periferie degradate dello spaccio come quotidianità e di uno Stato pronto soltanto a punire e raramente ad aiutare sono identiche dal Nord al Sud -, era quello di un giovane con viso e corpo segnato da tatuaggi, che si faceva ritrarre con uno sguardo truce e pistole d’oro e mazzette di soldi in mano.

“Ho costruito – ha spiegato Pandetta – un personaggio che piace, ma io non sono così. Ho fatto mille sbagli e ho pagato, ma sono cambiato.

Dare alla gente ciò che chiede

“Alla gente piace questo” ha ribadito Pandetta.

“I miei video – ha aggiunto – fanno quaranta milioni di visualizzazioni, se metto una foto di me con mia figlia la guardano in pochi. Purtroppo il mondo è questo e va al contrario”.

Business dunque.

Dare alla “gente” ciò che vuole.

Non molto diverso da ciò che fanno certi politici populisti.

Neomelodici e apologia della mafia

Una norma che potrebbe creare qualche problema ai tanti neomelodici che inneggiano alla criminalità nelle loro canzoni e che non convince, per esempio, il giornalista Gianmauro Costa, autore di “Festa di Piazza”, libro che ha al centro proprio le commistioni tra certa musica e la criminalità organizzata.

“Tutto ciò che è in odore di censura è becero, – ha commentato – e assistiamo a eccesso di politically correct che diventa conformismo peggiore della matrice culturale che si combatte. Diversa cosa, ovviamente, è la propaganda criminale”.

Recenti inchieste hanno accertato infatti che molte feste rionali di Palermo sono organizzate dai clan mafiosi che ingaggiano i cantanti, tutti neomelodici.

Pandetta, basta neomelodici

“Anche per questo – ha affermato Pandetta – non voglio più saperne di quella musica. Quando andavo a cantare in certi contesti poteva capitare di incontrare persone particolari, per questo non voglio più farlo, proprio per essere libero”.

Anche Gery Ferrara, ex pm antimafia che del fenomeno si è occupato nel saggio “La mafia che canta” è sulla stessa lunghezza d’onda.

“Si deve stare attenti con i reati connessi alla libertà di espressione artistica – ha sottolineato – anche se altro, sono le condotte istigatrici con esaltazioni di gesta di mafiosi. Quello su cui si deve vigilare è, invece, che l’esibizione in una festa di quartiere non diventi mezzo di acquisizione del consenso mafioso o di raccolta di fondi per i clan”.

La nascita di “Dedicata a te”

Di diverso parere Niko Pandetta.

“Se facessero una legge che punisce chi inneggia alla mafia non mi sentirei leso nella mia creatività – ha detto – perché in fondo abbiamo una responsabilità verso chi ci segue. Parlo di milioni di follower, spesso giovani per i quali siamo un esempio”.

“Avevo la testa bruciata – ha raccontato -, avevo la malavita nel cervello. Ho scritto ‘Dedicata a te’, il mio primo pezzo, per ringraziare mio zio Turi. Ho sicuramente fatto una cretinata e me ne scuso”.

Pandetta non è stato l’unico neomelodico a finire nella bufera: Tony Colombo, protagonista di uno sfarzoso matrimonio con la vedova di un camorrista , Gianni Celeste con la sua “‘Nu latitante”, tutti siciliani che, secondo tradizione cantano in napoletano, sono incappati in critiche feroci.

Il mutamento di Niko

Un album in preparazione, contatti con una grossissima casa discografica, Niko sembra cambiato davvero.

Tanto da arrivare a dire che una limitazione dell’espressione artistica sarebbe accettabile.