Giustizia

Mafia, Giovanna Galatolo incastra il padre per la strage Pizzolungo



Stavolta l’accusa decisiva è venuta dalla stessa figlia del boss. È stata Giovanna Galatolo a ribellarsi alla logica spietata e al metodo mafioso e a incastrare il padre Vincenzo, un padrino della vecchia guardia e componente della cupola, ora condannato a trent’anni come uno dei mandanti della strage di Pizzolungo, a Trapani.

Era il 2 aprile 1985. Una bomba doveva stroncare al passaggio il giudice Carlo Palermo, che invece si salvò.

La terribile esplosione dilaniò Barbara Asta, 33 anni, e i suoi gemellini di sei anni, Giuseppe e Salvatore.

Questo che in abbreviato si è concluso davanti al gup di Caltanissetta, Valentina Balbo, è il quarto processo.

Uno è finito con l’assoluzione dei tre imputati della cosca trapanese originariamente chiamati in causa.

Gli altri due hanno portato alla condanna di Totò Riina, Nino Madonia e Balduccio Di Maggio, l’uomo che fece scoprire il covo del padrino di Corleone.

Non è stato mai accertato il movente dell’attentato. E non lo conosce neanche Giovanna Galatolo entrata in scena sette anni fa, dopo un tormento a lungo covato.

Nel 2013 la donna si era presentata alla squadra mobile di Palermo per svelare il suo segreto.

“Voglio andare via da Palermo – disse – per dare a mia figlia una vita diversa da quella che ho avuto io”.

Per anni aveva portato nella coscienza un peso morale diventato insopportabile.

Giovanna Galatolo raccontò, e poi ha confermato in aula, ciò che quel giorno di 35 anni fa era accaduto tra le mura di casa, in vicolo Pipitone, nel quartiere dell’Acquasanta.

“Non appena il telegiornale diede la notizia della strage mia madre iniziò a urlare: ‘I bambini non si toccano’. Mio padre prese allora a picchiarla, voleva addirittura dare fuoco alla casa”.

Da questo racconto i pm Gabriele Paci e Pasquale Pacifico hanno preso le mosse per mettere sotto accusa Galatolo e per ricostruire il profilo criminale del capomafia dell’Acquasanta.

Da questo quartiere erano partiti i gruppi di fuoco che avevano eliminato negli anni di piombo di Palermo il segretario regionale del Pci Pio La Torre, il giudice Rocco Chinnici, il vice questore Ninni Cassarà.

Quale fosse nel 1985 il clima di casa Galatolo è stata ancora la figlia a descriverlo: “Avevo vent’anni e sentivo a casa mio padre che diceva: ‘Quel giudice è un cornuto’. Poi si verificò l’attentato a Carlo Palermo. Compresi tutto. E anche mia madre capì. Non se ne dava pace”.