Le quasi 400 scarcerazioni di detenuti dagli istituti di pena italiani a causa del Coronavirus stanno provocando una levata di scudi contro le istituzioni che hanno assunto tale decisione. Una vicenda esplosa letteralmente durante la trasmissione “Non è l’Arena” di domenica scorsa, a cui sono seguite le dimissioni del capo del Dap Basentini.
La vicenda ormai è nota: in mezzo all’esercito di detenuti in uscita o già usciti di livello ordinario, vi sarebbero anche tre sottoposti al regime del 41 bis, quindi in isolamento.
E la scarcerazione di Franco Cataldo, condannato all’ergastolo per aver tenuto segregato il piccolo Santino di Matteo nell’estate del 1994 è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Le opposizioni sono insorte: su Twitter la deputata di Forza Italia, Annagrazia Calabria parla di un pessimo segnale da parte delle istituzioni “nei confronti dei familiari delle vittime di mafia nonché degli inquirenti e delle Forze dell’Ordine che hanno sacrificato le loro vite per la lotta alla criminalità organizzata. Peraltro, in settimane nelle quali agli italiani onesti è stato chiesto di sacrificare quote importanti della loro libertà, restituirla, seppur in maniera limitata, a chi si è macchiato di orribili delitti è un paradosso gravissimo e inaccettabile”.
Di segnale “devastante” parla invece Carolina Varchi, deputato nazionale di Fratelli D’Italia e capogruppo in commissione giustizia . “Questa ennesima scarcerazione è un segnale devastante che arriva in Sicilia se anche uno dei carcerieri del piccolo Di Matteo è libero di tornare a casa”. Sulla necessità che i boss restino in carcere ha parlato la sorella del giudice Falcone, Maria: “Il 41 bis è stato creato non dai giustizialisti ma dal parlamento perché si riteneva ed è importante che i detenuti per fatti di mafia, se viene lasciata a loro la possibilità di comunicare con l’esterno continuano ad avere le leve del comando. La cosa più importante – ha concluso – è pensare che nelle carceri ci siano i mezzi idonei per potere trattare anche dal punto di vista della sanità i detenuti”.
Questa vicenda delle scarcerazioni facili dei detenuti si intreccia ad un’altra, altrettanto delicata, legata alla mancata nomina a capo del Dap del magistrato Nino Di Matteo, da sempre in prima linea contro la mafia. Stando a quanto riferito da Di Matteo, il ministro Bonafede in un primo tempo era favorevole alla sua nomina ma in seguito cambiò idea. Nel frattempo erano state rese note alcune intercettazioni telefoniche di detenuti che erano a conoscenza di questa possibile nomina e speravano che non accadesse, conoscendo l’abnegazione di Di Matteo per il suo lavoro. Oggi, durante il question time in parlamento, Bonafede si è difeso dall’accusa, pesantissima tra l’altro, secondo cui le intercettazioni dei detenuti gli abbiano fatto cambiare idea sulla nomina di Di Matteo. “Nel giugno 2018 non vi fu alcuna interferenza diretta o indiretta, nella nomina del capo Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria”.
Intanto, il procuratore nazionale Antimafia Federico Cafiero de Raho glissa sulla querelle Bonafede – Di Matteo e interviene in merito alla questione delle scarcerazioni: “Il mio ufficio ha appreso nel mese di aprile – ha spiegato – un mese dopo che era stata diramata la circolare, l’esigenza che venisse sottoposta ai magistrati di sorveglianza la situazione patologica in cui versavano alcuni detenuti. E i magistrati di sorveglianza hanno deciso ritenendo che la posizione carceraria di alcuni di essi fosse incompatibile con la prosecuzione del carcere in cui si trovavano. Per quanto riguarda i detenuti al 41 bis questo ci ha sorpreso perché chi si trova in regime speciale non può avere rapporti con altri”. De Raho ha specificato che le posizioni degli scarcerati andranno rivalutate, individuando i posti nei centri ospedalieri delle carceri, “ma bisognerà vedere se il magistrato accoglie le istanze che dovrebbero comunque arrivare dalla magistratura. è un quadro che il ministro della Giustizia sta approfondendo e laddove ci sono aperture, è un’ottima soluzione individuare spiragli in cui almeno i più pericolosi possano rientrare nel carcere”.
Raffaella Pessina