Una rivalutazione delle pensioni minime potrebbe oscillare tra i circa 16 euro e poco più di 9 a favore di quasi 2 milioni di pensionati per un costo complessivo per le casse dello Stato tra i 284 milioni e i 213, in base ai criteri che verranno indicati in via definitiva.
A quanto apprende l’Adnkronos da fonti sindacali, se il governo confermasse uno schema uguale a quello dello scorso anno, ipotizzando un indice di perequazione delle pensioni dell’1,5% e un incremento ‘aggiuntivo’ del 2,7% (lo stesso applicato nel 2024) il beneficio mensile ammonterebbe a 16,40 euro. Se invece il governo optasse per un incremento aggiuntivo dell’1,5%, come applicato nel 2023 per i pensionati di età inferiore a 75 anni, il beneficio sarebbe di 9,11 euro mensili. Da stime approssimative il numero dei beneficiari è di circa 1 milione e 800 mila pensionati ed il costo complessivo ammonterebbe da un massimo di 284 milioni di euro con un incremento del 2,7% ad un minimo di 213 milioni di euro con un incremento dell’1,5%.
Le pensioni minime negli anni 2023 e 2024, oltre alla perequazione automatica (+8,1% dal primo gennaio 2023 e +5,4% dal primo gennaio 2024) hanno beneficiato di un ulteriore incremento perequativo in misura, per l’anno 2023 pari all’1,5% per i titolari di età inferiore a 75 anni e al 6,4% per i titolari di età di almeno 75 anni e in misura pari al 2,7% per l’anno 2024 indipendentemente dall’età anagrafica. Tale incremento per previsione normativa non era strutturale, ma è transitorio. Pertanto al titolare di pensione di età pari ad almeno 75 anni nel 2023 è spettato un incremento di 36,08 euro, mentre nel 2024 l’incremento si è ridotto a 16,16 euro mensili. La proroga nel 2024 della rivalutazione delle pensioni minime al 100% evita quindi una decurtazione dell’assegno per effetto dell’inflazione ma l’impatto dipenderà da percentuali di incremento e dai criteri adottati.