Nella nozione del legislatore l’avvocheria era un ufficio pubblico esercitabile soltanto da maschi e nel quale non dovevano immischiarsi le femmine!
Per secoli la DONNA ha dovuto combattere, per poter accedere alla professione forense. Un primo esempio lo riscontriamo oltremare, in Clara Shortridge Foltz che nel 1878 passò l’esame di avvocato con un colloquio lungo il doppio rispetto a quello di un uomo. Le venne impedito di frequentare un corso di dottorato perché “la sua presenza e il fruscio della gonna avrebbe disturbato i giovani uomini”.
In Italia, la figura dell’avvocata Lidia Poët è intrisa ancora oggi di un fascino particolare, perché è stata una delle prime donne a laurearsi in Giurisprudenza. Dopo aver superato gli esami di procuratore legale, Lidia Poët chiese formalmente l’iscrizione all’Albo degli avvocati e dei Procuratori Legali. Nel 1883, la Corte d’Appello di Torino, annullò l’iscrizione all’albo degli avvocati della dottoressa Poët, statuendo che la professione forense doveva essere qualificata come un ufficio pubblico e dunque, in quanto tale, vietato alle donne. Solo nel 1920, all’età di 65 anni, riuscì ad iscriversi nell’ordine degli avvocati di Torino.
Oggi le iscrizioni alla Cassa forense degli ultimi 12 anni hanno visto prevalere sistematicamente le donne sugli uomini. In Italia, attualmente, le leggi tutelano la donna, vittima di abuso e discriminazione, migliorandone la qualità di vita “anche se la strada verso un’uguaglianza piena è lunga e insidiosa”.