Campobello di Mazara, 7 gennaio 2016. Il sole è da poco tramontato, quando nella tabaccheria accanto alla Torre dell’orologio entra uno dei tanti clienti della giornata. Al titolare dice di dover pagare i bolli di un’auto e una motocicletta. La pratica dura meno di un minuto, poi l’uomo saluta e torna sulla strada bagnata di pioggia.
Ad avere adempiuto ai doveri connessi alla tassa di proprietà dei mezzi potrebbe essere stato il boss Matteo Messina Denaro. Si tratta dell’ultimo degli aneddoti legati all’esistenza da fantasma – perlomeno agli occhi di chi per trent’anni gli ha dato ufficialmente la caccia – del boss di Castelvetrano, morto a settembre, nove mesi dopo essere stato arrestato nella clinica La Maddalena di Palermo.
La vicenda, apparentemente insignificante, è narrata all’interno dell’ordinanza che oggi ha portato all’arresto di Massimo Gentile, Cosimo Leone e Leonardo Salvatore Gulotta, ritenuti tutti fiancheggiatori della latitanza del capomafia. Gli ultimi in ordine di tempo, ma non in senso assoluto. I magistrati della Dda di Palermo lo ripetono a ogni passo in avanti compiuto nell’indagine: “Una vasta, trasversale e insidiosissima rete di sostegno, ancora in minima parte svelata”.
La data del 7 gennaio e il pagamento dei bolli nella tabaccheria di via Roma sono due degli elementi che hanno portato a sospettare di Massimo Gentile. L’uomo, un architetto nativo di Erice e da qualche anno residente in Lombardia dove ha lavorato come funzionario pubblico in più Comuni, è accusato di avere prestato la propria identità a Messina Denaro, consentendogli di acquistare una Fiat 500.
L’auto, a cui nei propri appunti il boss faceva riferimento con il nome di Margot, sarebbe stata comprata dal boss in persona fornendo come numero di telefono quello riconducibile a Salvatore Gulotta ed esibendo una carta d’identità in cui coesistevano elementi di verità e falsità: le generalità di Gentile, la foto di Messina Denaro, un indirizzo di residenza inesistente, e poi ancora la corretta data di rilascio mentre quella di scadenza era inventata.
All’impiegato di banca a cui si è rivolto per ottenere un assegno circolare da novemila euro, Messina Denaro avrebbe indicato come provenienza dei soldi in contanti che stava per versare una sedicente attività di vendita di capi d’abbigliamento.
Di quell’auto, così come di una moto Bmw che sarebbe stata acquistata da Gentile e messa a disposizione del capomafia, nel corso degli anni sono state pagate regolarmente le polizze assicurative e le tasse di proprietà. E a sostegno della tesi secondo cui a recarsi nella tabaccheria il 7 gennaio 2016 potrebbe essere stato lo stesso Messina Denaro, c’è un documento rinvenuto nell’ultimo covo in cui il boss ha vissuto gli ultimi giorni di latitanza.
Si tratta di uno scontrino emesso dalla stessa tabaccheria di via Roma. La data, poi, ha il sapore della beffa in una storia ancora tutto da scoprire: 7 gennaio 2023. Esattamente sette anni dopo il pagamento dei bolli, ma soprattutto l’ennesima prova di come, per quanto sia stato tra i latitanti più ricercati al mondo, Messina Denaro potrebbe avere condotto una vita normalissima. Come se fosse stato certo che nessuno si sarebbe accorto di lui.
Nonostante in questo troncone d’indagine, nessuno degli arrestati si chiami Bonafede, la famiglia del capomafia Leonardo – da anni deceduto – continua a tornare sempre. Gli inquirenti ne sono convinti: Leonardo Bonafede è stato per Matteo Messina Denaro un punto di riferimento così come lo fu per il padre, don Ciccio, morto da latitante.
Se l’anno scorso a finire in carcere sono stati la figlia Laura Bonafede, la figlia di quest’ultima Martina Gentile, e poi ancora i nipoti Andrea (gli omonimi, classe ’69 e ’63) ed Emanuele, quest’ultimo insieme alla moglie Lorena Lanceri, anche stavolta le indagini hanno toccato anelli della famiglia. Massimo Gentile, infatti, è cugino di secondo grado di Salvatore Gentile, il marito ergastolano di Laura Bonafede. E a sua volta Cosimo Leone – tecnico radiologo che, consapevole della vera identità di Messina Denaro, avrebbe dato il suo contributo nelle fasi in cui, nel 2020, il boss ha dovuto iniziare a ricorrere alle cure ospedaliere – è cognato di Massimo Gentile.
La rete di protezione di cui Messina Denaro ha goduto poggiava anche sulla consapevolezza di come l’omertà avrebbe fatto da sigillante per ogni mossa del boss. I magistrati ne sono sempre più convinti. Nell’ordinanza si sottolinea come i risultati nelle indagini stanno arrivando “nonostante la pressoché totale omertà che ancora oggi, a distanza di pochi mesi dalla morte del capo mafia, avvolge come una nebbia fittissima ciò che è esistito intorno alla sua figura”.
Finora gli investigatori si sono trovati ad avere a che fare con l’assenza di collaborazione da parte di chi potrebbe dare un contributo: “Nessun medico, operatore sanitario o anche semplice impiegato di segreteria che abbia avuto contatti con Messina Denaro – è l’amara constatazione – ha ritenuto di proporsi volontariamente per riferire di essersi occupato, a qualsiasi titolo, del latitante o comunque rivelare quanto appreso direttamente o anche indirettamente sulle cure prestate”.
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