Pare che la prova scritta di italiano agli esami di maturità sia stata fortunatamente ripristinata. Lo considero un buon segnale per la scuola italiana stracolma di problemi e di difficoltà di ogni genere. Ciò che però, a parte il gioco di parole, mi pare un segno di immaturità, comprensibile ma non giustificabile, è invece l’atteggiamento di molti studenti che hanno manifestato il loro dissenso verso una tale decisione. Ancora più ingiustificabile e del tutto incomprensibile mi sembra, poi, l’opinione di una frangia, spero limitata, di insegnanti, anch’essi contrari, non si capisce il perché, al ripristino di questa prova.
Il famoso “compito di italiano”, quello che tutti abbiamo svolto nel corso della nostra carriera scolastica, non è soltanto un “omaggio” alla lingua che parliamo, in continuo e moderno divenire; non è soltanto il modo per comprendere se si sia o meno compreso come si debbano coniugare i verbi e come sia più giusto formare un periodo.
Il tema d’italiano è anche la via attraverso la quale conoscere il grado di maturità degli studenti, la profondità dei loro pensieri, il livello di sensibilità, le loro emozioni più nascoste, la capacità di comprendere ciò che si è letto e ciò che si è imparato.
La soppressione della prova d’italiano avrebbe rappresentato un modo per sottrarsi ad uno dei compiti più importanti della scuola e dei docenti, che ne rappresentano l’asse portante, vale a dire la valutazione della capacità logica, oltre che della preparazione culturale e grammaticale degli studenti. Che questi ultimi vogliano evitare di essere giudicati lo si può pure capire, perché loro non sanno ancora che la valutazione delle scuola è comunque più indulgente di quella della società, ma che siano i docenti ad assecondarli è davvero intollerabile.
L’importante scommessa che attende coloro i quali si battono per costruire una vita migliore per tutti è quella che prevede la rottura del pericoloso triangolo dell’irresponsabilità. Mi riferisco al triangolo che vede alleati quei giovani che non hanno voglia di imparare, quegli insegnanti che non hanno voglia di insegnare e quelle famiglie che, invece di pensare al futuro dei loro figli, pensano alle loro vacanze estive.
A proposito dell’importanza della prova scritta d’italiano e, in genere, dello scrivere, desidero ricordare un episodio che considero particolarmente importante.
Quando ricoprivo la carica di Garante dei Diritti dei Detenuti rispondevo a centinaia di lettere che mi provenivano da reclusi nelle carceri di tutta Italia, lo facevo per dovere d’ufficio, ma anche perché ritenevo giusto far sentire l’interesse dello Stato nei confronti di chi sconta una pena. Tra queste ce ne fu una, in particolare, che suscitò il mio interesse e la mia attenzione. Ad inviarmela era stato un detenuto al 41bis, un giovane boss della mafia siciliana, che mi chiedeva di aiutarlo a scrivere meglio, perché voleva esprimersi più correttamente quando parlava con la moglie e con i figli che, a causa della sua lunga latitanza precedente all’arresto, non aveva ancora potuto riconoscere.
Ricordo che gli rimandavo indietro le sue stesse lettere con le correzioni di cui necessitavano e così, dopo diverso tempo, riuscii a convincerlo a frequentare la scuola del carcere, a migliorare il suo italiano, ad imparare la storia, la geografia e tante altre importanti materie, ma soprattutto a fare il suo dovere di padre e di marito.
Ecco, il tema d’italiano può servire anche a questo.