PALERMO – La Sicilia è la terra dalle mille contraddizioni. Non soltanto perché in essa convivono paesaggi mozzafiato e rifiuti, accoglienza e criminalità organizzata, ma anche perché all’alto tasso di disoccupazione (19%) si accompagna la difficoltà di tanti imprenditori di trovare le competenze.
Il tasso di disoccupazione giovanile nella regione ha superato il 40%. Ma secondo l’indagine di Unioncamere e Anpal, le imprese che non riescono a trovare il profilo adeguato sono il 31% (dati aggiornati al 2021). Un paradosso che la dice lunga sulla capacità delle agenzie educative di fungere al loro scopo.
“Dovremmo passar meno tempo a classificare i bambini e più tempo ad aiutarli a identificare e coltivare le loro competenze e i loro talenti naturali”, sostiene lo psicologo statunitense Daniel Goleman.
Ed è lecito domandarsi se la scuola nell’Isola sia all’altezza di un compito tanto arduo e se sia competitiva rispetto al resto dell’Ue.
Secondo gli ultimi risultati dei test Invalsi, il livello di istruzione in Sicilia è pressoché disarmante. Pare che soltanto la metà degli studenti siano abbia raggiunto la sufficienza sulle competenze di base. Alla maturità, poi, soltanto il 40% dei ragazzi dimostra di conoscere gli argomenti del programma.
Più in generale, al Sud il 60% dei giovani ha difficoltà nel comprendere testi semplici in lingua italiana. Il 70% è incapace di svolgere operazioni matematiche di scarsa complessità.
Secondo la banca dati della Commissione europea, in Sicilia diminuisce il numero dei laureati e aumenta la dispersione scolastica: il 21,2% dei giovani siciliani è fermo per lo più al diploma di terza media. Il 30,2% dei ragazzi siciliani è rappresentato dai Neet: soggetti che non lavorano, né sono impegnati in percorsi formativi.
In Europa è laureato il 41,6% dei cittadini. In Sicilia – nella fascia d’età compresa tra i 30 e i 34 anni – soltanto il 17,8%. L’obiettivo fissato dall’Ue al 2030 è del 45%.
Abbiamo intervistato Maurizio Franzò, presidente dell’Associazione presidi in Sicilia, per capire quali possano essere le prospettive future dell’istruzione in Sicilia e quali siano le difficoltà reali all’interno degli istituti scolastici.
Professore, le prove Invalsi fotografano uno scenario disastroso. Sono attendibili?
“Sulla verificabilità degli esiti si possono avere dei dubbi. Perché non sappiamo se tutti i giovani abbiano prestato la dovuta attenzione ai test. Ma anche se i dati reali fossero inferiori, dimostrerebbero comunque l’esistenza di un grande problema a cui rimediare”.
Qual è la causa della carenza di competenze degli studenti?
“Intanto c’è da dire che i metodi d’insegnamento andrebbero rivisti. Continuiamo ad applicare metodi introdotti cento anni fa, rimanendo fermi alla comunicazione delle nozioni. Chiediamo agli studenti di ascoltare la lezione frontale, di studiarne a casa i contenuti e di tornare in classe a ripeterli. Ma così non li abituiamo al problem solving, ovvero all’analisi e alla ricerca delle soluzioni adeguate e alla verifica della soluzione applicata, che è cosa ben diversa dalla matematica. E poi c’è il problema della carenza del personale e delle classi eccessivamente numerose che non consentono la personalizzazione del percorso scolastico. Rischiamo così di non aiutare chi ha carenze e di non valorizzare le eccellenze, appiattendo il livello al ribasso. Quali stimoli possiamo offrire così ai giovani?”
I fondi destinati alla scuola per far fronte alla dispersione scolastica riusciranno nell’intento?
“I fondi messi a disposizione per la lotta alla dispersione scolastica sono consistenti: il primo stanziamento è di 500 milioni fino ad arrivare a un milione e mezzo. Ma occorre una riflessione profonda per comprendere a fondo come andrebbero spesi. I dati ci dicono che, finora, abbiamo adottato delle misure che si sono dimostrate inefficaci. Dovremmo perciò smetterla di impiegare i fondi – almeno per quanto riguarda la scuola superiore e il liceo – per attività pomeridiane extrascolastiche che aumentino le ore. Dovremmo invece poter personalizzare i percorsi per gli studenti in funzione delle loro specifiche esigenze. Come? Ampliando l’organico. Ma è bene ricordare che le scuole non sono autonome, bensì si scontrano con il numero del personale e con il suo potenziamento, che deriva dall’esubero di organico provinciale e non dalle effettive competenze di cui necessita l’istituto. Capita molto spesso di ricevere in istituto un docente competente in materie diverse da quelle di cui c’è bisogno. Questo non è più accettabile, né utile”.
Considerando le difficoltà sociali, ma anche l’opportunità di svolgere attività pomeridiane educative e di qualità, le scuole non potrebbero rappresentare il fulcro della società e della vita dei giovani?
“Esistono realtà geografiche, come le aree metropolitane di Palermo, Catania e Messina, in cui lasciare le scuole aperte rappresenta un’esigenza. In altre realtà, invece, no. Ma il personale scolastico è stanco e spesso non è disponibile a prolungare l’orario di lavoro. Senza dare alle scuole la possibilità di utilizzare personale esterno, resta un’utopia”.
I genitori dei più piccoli lavorano e hanno difficoltà nella cura dei figli, così molte donne rinunciano a lavorare e a rendersi economicamente indipendenti dal marito o dalla famiglia d’origine. Può la scuola aiutare a superare il problema?
“Il salto di qualità sarebbe possibile lasciando aperte le scuole – dall’infanzia alle scuole medie – fino alle 16:30. Per far mangiare insieme i bambini e far fare loro i compiti. Evitando così di delegare sempre i genitori persino allo studio delle materie scolastiche e al controllo degli esercizi. Per il tempo prolungato, però, occorrono le mense e non tutti i Comuni sono in grado di attivarle. è bene che si lavori su questo”.
Oltre due settimane per Natale, tre mesi in estate, una settimana a Pasqua, qualche giorno per carnevale, qualche altro per la festività dei Morti e del santo patrono, la festa della Liberazione. Ormai non si va più a scuola nemmeno il sabato. Tutte queste chiusure fanno davvero bene agli studenti? Tre mesi consecutivi non sono eccessivi?
“Per far bene agli studenti serve assicurare un servizio di qualità per quanto più tempo è possibile. Se si vogliono aprire le scuole in estate, magari con turnazione degli studenti, bisogna adeguare le aule dotandole di condizionatori d’aria: le linee guida per le nuove costruzioni li prevedono già. E poi puntare sullo sport: soltanto di recente sono stati introdotti alla scuola primaria gli insegnanti specializzati in scienze motorie, mentre prima le attività sportive venivano proposte da docenti di altre materie. In verità, il problema della scuola è principalmente uno: non servono riforme dell’istruzione a metà, come accaduto finora; serve una riforma di qualità che possa portare a scuola innovazione, metodo, locali ampi e sicuri, adeguate risorse finanziarie per poter aumentare l’organico”.