Mauro Rostagno aveva 46 anni ed era nato a Torino. Si era trasferito in Sicilia, in provincia di Trapani, dove aveva fondato il centro Saman, un luogo di aggregazione sorto inizialmente con l’intento di divulgare gli insegnamenti appresi in India, ma che col tempo verrà trasformato in un centro di accoglienza e recupero di tossicodipendenti, tra i primi centri d’Italia, ed ennesima straordinaria dimostrazione della sua capacità pionieristica di rapportarsi con la contemporaneità. Il 25 settembre 1988, sta rientrando a Saman, ma un fucile a pompa calibro 12 e una pistola calibro 38 lo colpiscono a morte.
“Quotidiano di Sicilia” ha voluto parlare con Gianni Di Malta che stato il suo operatore a RTC, l’emittente nella quale Mauro Rostagno conduceva il telegiornale. Oggi Gianni prosegue il percorso tracciato da Mauro come presidente di Saman Sicilia e occupandosi della comunità che si trova a Erice, in un bene confiscato a Vincenzo Virga, boss mafioso condannato per essere il mandante dell’omicidio di Rostagno.
Quando hai incontrato Rostagno per la prima volta?
«La prima volta che lo incontrai, fu in occasione di una serie d’interviste che realizzava Giacomo Pilati, redattore di RTC. Lavoravo nell’emittente da poco tempo e andai, con Giacomo, a Lenzi, dove c’era la comunità. Devo dire che ero, a quel tempo, inesperto. Realizzai un servizio con immagini mosse, con Rostagno che si vedeva riflesso in uno specchio. Non gradì molto all’editore ma, invece, il servizio piacque moltissimo a Rostagno che mi fece i complimenti.
Poi ci incontrammo, sempre nell’abito delle attività di RTC, quando fu invitato da Wally Cammareri a “Paese mio”, un programma estivo itinerante nella provincia di Trapani simile a “Giochi senza frontiere”. Mauro, con i ragazzi della comunità, fu invitato perché tra loro c’erano alcuni artisti. Erano, per così dire, degli ospiti d’onore e avevano uno spazio di venti minuti. All’interno di questo piccolo contenitore, Mauro presentava la comunità e i suoi ragazzi intrattenendo il pubblico con le loro performance. Non solo. Raccontava la comunità, quello che facevano e si metteva a disposizione in caso di bisogno, anche cercando di far capire che Saman non era un satellite autonomo ma una struttura aperta che voleva interagire con il territorio di cui faceva parte.
In quell’occasione nacque la mia simpatia per Mauro. Mi ricordava mio padre, sempre sorridente, che cantava quando uscivamo in bicicletta. Al termine di questa esperienza, l’editore di RTC Puccio Bulgarella capì che Rostagno poteva essere una risorsa per l’emittente. Da lì iniziò la prima vera e propria collaborazione tra Rostagno e l’emittente. Nello stesso periodo io avevo iniziato a collaborare con “Tele Scirocco”, un’altra tv locale. Mauro mi chiamò e mi chiese con forza di tornare a RTC. Lì nacque un rapporto e una collaborazione tra noi che durò fino a mezz’ora prima della sua morte, quando ci lasciammo dopo l’ultimo servizio».
Quando hai conosciuto, invece, la comunità?
«Il rapporto tra noi cresceva, diventava sempre più stretto e più forte ma soprattutto mi ha fatto conoscere e amare la comunità. Fui io che gli chiesi di andare in comunità per vedere, per capire. Il suo approccio fu, come nel suo stile, assolutamente non convenzionale. Al mio arrivo mi diede un secchiello e uno straccio e mi portò nei bagni pubblici della comunità, quelli che venivano chiamati “Public”. Si trattava di un ambiente con grandi lavabi e con le pareti piastrellate con mattonelle di ceramica bianca. Mi guardò e mi disse: “Quando hai finito di pulire tutte le mattonelle, mi chiami”. Rimasi ovviamente stupito ma inizia il lavoro che mi aveva chiesto di fare. Verso le tre del pomeriggio finii e chiamai Mauro che si guardò attorno e mi disse che avevo fatto un ottimo lavoro e mi chiese quante fossero le mattonelle. Di fronte al mio viso sconcertato mi disse che per conoscere la comunità era necessaria attenzione e quindi che le avrei dovute contare. Mi resi conto che questo era il suo approccio con i ragazzi, quello terapeutico, di comunità. Un approccio che ti spiazzata ma che ti faceva capire le cose. Ancora oggi noi lo portiamo avanti, questo approccio, fatto di paradossi, di non verbale, di attenzione ai dettagli e nella logica di “pulire le cose per pulire se stessi”».
E il Mauro giornalista?
«Era una grande sociologo, capiva con chi stesse parlando e si faceva capire da tutti riuscendo così a parlare con chiunque. Nei suoi due anni a RTC è riuscito a catturare l’attenzione di tutti, indistintamente, sia di quelli che gli volevano bene sia a quelli che, invece e da subito, cominciarono a non volergli bene. Ricordo un episodio, in particolare, che unisce il Mauro terapista al Mauro giornalista. Andammo, una volta, in un terreno di fronte a RTC e mi chiese di essere ripreso. Prese una zappa e iniziò a zappare. Passai dal campo largo al primo piano, lui si voltò verso la camera e disse: “Assessore, io ho cominciato a zappare e lei quando inizierà a pulire Trapani?”. Devi sapere che qualche giorno prima, a seguito di un servizio di Mauro sull’immondizia a Trapani, un assessore gli disse che doveva andare a zappare. Altro episodio che voglio ricordare è quello relativo a un servizio che realizzammo a palazzo D’Alì, sede del Comune, nell’aula del Consiglio Comunale. Nella stanza attigua c’era un posacenere da cui usciva un filo di fumo, probabilmente si trattava di una sigaretta non spenta. Mi chiese di riprenderlo. Facemmo poi le riprese della seduta del Consiglio Comunale. Il titolo del servizio che andò in onda fu “A Palazzo D’Alì c’è puzza di bruciato”, con l’immagine del fumo che usciva dal portacenere. A proposito, Mauro quel palazzo lo chiamava “Palazzo D’Alì e i 40 ladroni”, perché quaranta erano i consiglieri comunali. Devi anche sapere che Mauro aveva iniziato a portare a RTC alcuni dei suoi ragazzi, una sorte di alternanza “comunità-lavoro”».
Eravate assieme fino a mezz’ora prima, come ti arriva la notizia che era stato ucciso?
«Quel giorno Mauro, lasciandoci, mi aveva chiesto di riportare una videocassetta contenente materiale di repertorio relativo a un fatto di cronaca, a Caterina Marceca di Telesud. Passò Michele Correale e suonò. Mi chiese di scendere perché avevano sparato a Mauro. Sembrava che fosse ancora vivo perché l’avevano portato in ospedale. Quando arrivammo a Lenzi, in effetti, il suo corpo non c’erano più ed erano in corso i sopralluoghi da parte delle forse dell’ordine».
Che cosa è cambiato da quel giorno?
«Nei giorni seguenti dissi all’editore che avrei continuato io a occuparmi dei ragazzi della comunità che venivano a RTC, perché sentii che era un’esperienza che non poteva concludersi con la morte di Mauro. La mattina andavo in comunità, li portavo a RTC dove lavoravano con noi, chi facendo interviste chi occupandosi della parte tecnica. Sull’onda dell’emozione ci fu una grande disponibilità da parte d’importanti giornalisti che promisero che, a rotazione, avrebbero sostituito Mauro in redazione. Durò poco. Qualche mese dopo la morte di Mauro, deluso, approfittai di un’occasione e me ne andai a lavorare a Milano».
Sulla sua morte, oggi, c’è una verità processuale che individua i mandanti e non gli esecutori materiali. Tu che hai vissuto l’esperienza di Mauro a tutto tondo, perché viene ucciso?
Penso che sia stato ucciso non tanto per quello che diceva ma perché era una mina vagante. Nelle sue parole c’erano sicuramente segnali che, chi l’ha ucciso, aveva capito benissimo. Potremmo definirlo, forse, un omicidio preventivo. Era pericoloso per gli affari sporchi che si stavano sviluppando non solo a Trapani ma in tutta la Sicilia. Stava analizzando l’incredibile quantità di sportelli bancari che c’erano a Trapani. Aveva scoperto che l’amministrazione comunale aveva un doppio bilancio, uno ufficiale e l’altro illegittimo. Stava indagando sul sistema occulto di connivenze che c’erano tra la mafia, la massoneria e la politica e, conoscendolo, avrebbe presto scoperchiato quella situazione cosa che, aihmè, ancora oggi non è successa».
Perché ci deve mancare Mauro Rostagno oggi?
«Ti ringrazio di aver usato il plurale perché Mauro era ed è un patrimonio di tutti. Ci manca più che mai anche perché chissà cosa avrebbe potuto fare, uno come lui, con la tecnologia che c’è oggi a disposizione. Mauro Rostagno era un fine intellettuale, lungimirante. Riusciva a vedere e interpretare fatti e avvenimenti come nessuno di noi riusciva a fare. Forse oggi, proprio grazie a lui avremmo potuto consolidare le basi per vivere “in una società in cui valga la pena trovare un posto”».
Roberto Greco