Musica

La voce del ghetto e l’importanza di tacere: “Me no cha” è il nuovo singolo di Mos GhettoBaby

Nuovo singolo per Mos GhettoBaby: l’artista gambiano, da otto anni a Catania, fa un nuovo regalo ai fans con “Me no cha”.

Questo il titolo dell’ultimo brano che si aggiunge ai cinque già pubblicati in precedenza.

Mos GhettoBaby torna con il singolo “Me no cha”

Le tre parole che inaugurano la nuova melodia sono scritte in patois: si tratta della lingua ufficiale della Jamaica. “Me no cha”, nello specifico, è uno slang che in italiano significa “io non parlo”. Così, ancora una volta, Mos si conferma la voce del ghetto per i suoi fratelli. Legati dalle stesse origini e dallo stesso destino, approdano sull’isola dove ad attenderli sono nuove sfide e persone, non sempre piacevoli. “Voglio fare capire ai miei rivali (i rapper) che io non parlo. – afferma il rapper – Io comunico solo con i miei fratelli”.

Il ghetto è famiglia, sebbene non costituita da legami di sangue. Ed è proprio nell’interiorità di ciascuno di loro che Mos GhettoBaby scava. Il pensiero va alle radici, ai legami resilienti. Tra le strofe si ripete “Mama don’t cry”: un incoraggiamento per tutte quelle madri africane che piangono il distacco dai loro figli, impegnati in un viaggio fatto di rischi e di incertezze. E il giovane, approdato nel 2016 in Sicilia ancora minorenne, conosce tutto il peso di queste parole e il rumore di certe emozioni che attraversano il cuore.

Il valore delle onomatopee per raccontare un mondo

Un altro punto cardine della canzone di Mos GhettoBaby è racchiuso nelle onomatopee. Il suono “pa pa pa” viene interpretato come un flashback .Qui diventano protagonisti i ricordi della Libia e della cosiddetta “war zone”, zona di guerra… Ma questo appartiene ormai al passato. Infatti, l’artista si rivolge alle madri dicendo loro che non devono più piangere perché adesso i loro figli “sono safe”, sono al sicuro.

Esperienze di vita che il cantante racconta affidandosi alla musica e tramite quest’ultima la storia del singolo diventa la storia di un’intera comunità. Questo intento spiega anche la struttura del brano: due strofe in cui il ritornello conserva un’impronta internazionale perché “il messaggio deve arrivare a più persone possibili”, evidenzia Mos. Non a caso vi è una mescolanza di lingue di derivazioni diverse. Il patois giamaicano si fonde nel testo con lo slang inglese. È il modo in cui i ragazzi – come Mos – comunicano tra di loro, mentre in altre occasioni preferiscono tacere. A confermare l’esigenza di stare in silenzio ci pensa la copertina della canzone, dove viene disegnato Mos con ago e filo che “servono a cucire la bocca”.

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