Tracce di microplastiche in mare: rendono meno belle le profondità marine e danneggiano l’ambiente. Lo rivela uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di Catania, Ispra, Ente Fauna Marina Mediterranea e Centro di studio e ricerca sulla pesca di Roma.
Uno studio che viene diffuso appena prima della Giornata Mondiale dell’Ambiente, prevista per il 5 giugno 2022. Soprattutto dal 2020 in poi, la sicurezza e la tutela di mare e oceani è tornata al centro del dibattito pubblico a livello mondiale.
Le microplastiche in mare sono presenti anche in profondità e i pesci. La preoccupante scoperta emerge da uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di Catania, Ispra, Ente Fauna Marina Mediterranea e Centro di studio e ricerca sulla pesca di Roma che è stato pubblicato nei giorni scorsi sulla rivista scientifica internazionale Journal of Marine Science and Engineering.
L’articolo – dal titolo “Microplastics in the Deep: Comparing Dietary and Plastic Ingestion Data between Two Mediterranean Bathyal Opportunistic Feeder Species, Galeus melastomus, Rafinesque, 1810 and Coelorinchus caelorhincus (Risso, 1810), through Stomach Content Analysis” – porta la firma dei ricercatori Umberto Sacco e Federica Marcucci dell’Ispra, Emanuela Mancini dell’Ente Fauna Marina Mediterranea e Centro di Studio e Ricerca sulla Pesca e Francesco Tiralongo, ittiologo del Laboratorio della Biologia della Fauna Marina Mediterranea (diretto dalla prof.ssa Bianca Maria Lombardo) dell’Università di Catania e vice-presidente dell’Ente Fauna Marina Mediterranea.
“L’inquinamento da microplastiche rappresenta attualmente una delle principali problematiche per l’ambiente marino, in tutte le acque del mondo”, spiega l’ittiologo Francesco Tiralongo.
“A tal riguardo, l’analisi dei contenuti stomacali dei pesci rappresenta un ottimo metodo per rilevare inconfutabilmente la presenza di questo inquinante nell’ecosistema marino. Tuttavia, sebbene sia ormai un fenomeno ben noto, i meccanismi che rimangono alla base dell’ingestione di queste piccole particelle plastiche rimane ancora poco noto”.
Per Umberto Scacco dell’Ispra “il lavoro mette in evidenza come sottili differenze nelle strategie alimentari di due specie opportunistiche possano produrre un’ingestione marcatamente diversa delle tipologie di microplastiche ritrovate negli stomaci”.
Nel lavoro abbiamo confrontato tale ingestione tra un piccolo squalo (come lo squalo boccanera) ed un pesce macruride (ad esempio il Celorinco), entrambi tipici della scarpata continentale ed oltre, nell’ambiente profondo del mar Mediterraneo”, aggiunge il ricercatore.
“I risultati mostrano come lo squalo, più marcatamente opportunista, ingerisca un’ampia gamma di tipologie di microplastiche in merito a forma, dimensione e colore, sebbene con frequenze molto basse. Differentemente, e sorprendentemente, il piccolo macruride ne ingerisce molte di più e, in particolare, un tipo specifico, i filamenti di colore blu di medie piccole dimensioni. La presenza di policheti negli stomaci, e soprattutto le correlazioni alimentari trovate tra essi e i filamenti, irrobustiscono l’ipotesi che il piccolo pesce vada incontro a una vera e propria confusione predatoria, scambiando i filamenti per una delle sue prede preferite”.
“La rete trofica marina è un sistema estremamente complesso e mutevole e sono necessari studi mirati e ripetuti per approfondire adeguatamente le nostre conoscenze in merito, conoscenze che possono sicuramente aiutarci a meglio comprendere anche il trasferimento lungo la rete trofica marina di sostanze inquinanti e di conseguenza adottare opportune cautele e strategie, sia in termini di ricerca, sia per quanto riguarda il consumo delle specie commerciali”. Così conclude l’ittiologo Francesco Tiralongo dell’ateneo catanese.