Un documento a firma dei Professori Ordinari di Trasporti e di Costruzioni di Strade, Ferrovie ed aeroporti delle Università di Sicilia e Calabria ha recentemente fatto irruzione nel dibattito pubblico. Nel documento si lamenta la scarsa o nulla attenzione che la versione del Febbraio 2021 del Piano di Ripresa e Resilienza (PNRR) riserva alle due regioni più meridionali d’Italia.
Molte critiche dei docenti meridionali sono assolutamente condivisibili. Prima fra tutte la mancata definizione del ruolo del Mezzogiorno nel panorama euromediterraneo. Una lacuna fondamentalmente culturale che impedisce di inquadrare le (poche) opere previste nel Sud in un insieme funzionale. L’assenza di un obiettivo da perseguire rende il Mezzogiorno un insignificante coacervo di infrastrutture, privo di una visione d’insieme. E’ in tale contesto disomogeneo che si innesta l’interessante e originale proposta di una rete ferroviaria aggiuntiva ad AV “LARG”, destinata ai soli passeggeri, finalizzata ad evitare la definitiva consacrazione di un’Italia veloce al Centro Nord e lenta a Sud.
Al di là degli apprezzabili aspetti generali, però, il documento dei professori perde quota ed efficacia quando offre soluzioni che cozzano con la logica e con la richiesta dei Presidenti delle Regioni Sicilia e Calabria di un immediato inserimento del Ponte nel Piano. Ancora una volta, la mancanza di un unico obiettivo indebolisce il vigore delle richieste, finendo per dare fiato a chi spera che resti tutto com’è.
È inaccettabile che l’orgoglio meridionalista e lo slancio perequativo che spingono a chiedere i 300kmh anche a sud di Salerno si infranga sulle rive dello Stretto, rendendo economicamente insostenibile l’intera proposta progettuale.
Per quale ragione, dopo aver sostenuto l’utilità di impegnare oltre una decina di miliardi per percorrere i circa 650km della Roma-Villa S. Giovanni in 3 ore(?), si accetta di impiegare 70’ per superare i 3,5km dello Stretto? Sforzandosi di trovare surrogati di bassa qualità e ardua realizzazione, al punto di dare adito al dubbio che lo scopo vero della proposta sia evitare la realizzazione di un’opera da 4 miliardi, dopo averne spesi una dozzina a monte e quasi altrettanti a valle.
Questo arrendersi di fronte ad ostacoli immaginari per non provate ragioni tecniche, spiega, seppur parzialmente, lo stato di arretratezza nella quale si trovano Sicilia e Calabria. Perché, se è pur vero che “non esistono a scala mondiale esempi di realizzazioni di ponti ferroviari sospesi di tale luce”, è ancor più vero che il progetto è stato validato dal Consiglio Superiore dei LLPP, da Ferrovie, ANAS, Det Norske Veritas, CIPE, Politecnico di Milano, Parsons Transportation, Steinmann e Cowi S/A, organismi di qualità, prestigio e autorevolezza tali da rendere ardua se non spericolata un’insinuazione d’irrealizzabilità. Sono gli effetti di una premessa che induce Ministri della Repubblica a imbarcarsi in avventure che hanno il solo effetto di ripercorrere percorsi già battuti e rinviare provvedimenti che, in ogni altro Paese del mondo civile sarebbero considerati urgentissimi. In quanto restituiscono a milioni di cittadini diritti violati da decenni.
Sostenere che per l’attraversamento stabile dello Stretto sono “possibili più soluzioni; accanto al ponte sospeso …” e che “… occorre valutare altre opzioni: tunnel sottomarino, tunnel sommerso a piccola profondità o adagiato sul fondo” mortifica la professionalità e l’autorevolezza delle centinaia di scienziati, enti e organismi di tutto il mondo che quel progetto l’hanno redatto e approvato.
Spiace, a distanza di oltre un decennio, constatare che lo Stato, proprietario del progetto, dimentichi che:
1) Le opzioni alternative sono state scartate, una dopo l’altra, già negli anni ’80;
2) La gara è andata in appalto, è stata aggiudicata a un consorzio internazionale formato da colossi delle costruzioni, italiani, giapponesi e spagnoli;
3) Realizzare un’AV a 300kmh a nord di Eboli e una a 160-200 a sud, ormai con tratte in fase avanzata di costruzione, è la conferma della volontà di dividere in due il Paese. Come giustamente rilevano i professori.
Ma contraddittorie sono proprio le modalità con le quali, professori siculo-calabri e lo stesso ministro Giovannini ipotizzano di riorganizzare un servizio di traghettamento che si ammette essere “condizione necessaria per collegare efficacemente le nuove linee, da realizzare in Sicilia, con la rete ad alta velocità…”. Come ignorare, infatti, che l’isola ha il doppio degli abitanti e del Pil di Calabria e Basilicata insieme e porta l’Europa a soli 140km dal continente africano, sulla rotta dei grandi flussi mercantili mediterranei?
Le soluzioni ipotizzate dai professori e da alcune sigle sindacali – ETR di lunghezza ridotta e nuove navi, più lunghe – impediscono di raggiungere gli scopi che la stessa Ue si prefigge e penalizzano gravemente le città capolinea. Nuove invasature, stravolgimento dei piazzali per renderli in grado di movimentare contemporaneamente convogli merci da 750m da scomporre, e treni passeggeri da mantenere integri, preclusione dell’affaccio al mare di una notevole parte delle città dello Stretto. Tutto, ripetiamo, solo per non realizzare un’opera già appaltata e perpetuare un servizio di attraversamento con caratteristiche negative ormai uniche al mondo. Su quest’ultime avremmo apprezzato maggiormente l’intervento del Ministro e dei professori. Modificare treni e traghetti non esenta dall’obbligo di far scendere e risalire i passeggeri prima e dopo l’imbarco – con conseguente imponente allungamento del tempo di traversata. Quindici o vent’anni di lavori a costi elevati per avallare una mai provata impossibilità di realizzare il collegamento stabile.
Sul piano del trasporto merci, poi, la mancanza di un collegamento stabile impedisce di superare la dimensione regionale del mercato siciliano e calabrese e vanifica la speranza di captare almeno una parte dei flussi commerciali mediterranei. Finendo per escludere parte del territorio nazionale dalle conseguenze positive della globalizzazione.
Dov’è finito il meridionalismo dei professori e del Ministro se la maggior parte dei cittadini e delle imprese dell’estremo Sud rimangono marginalizzate, né più né meno di oggi?
Ing. Roberto Di Maria