La Corte costituzionale si è mostrata sempre attenta al benessere psico-fisico dei minori ed è intervenuta, o ha sollecitato il legislatore a intervenire, ogniqualvolta lo ritenesse a rischio. Nelle sentenze numero 32 e 33 del 2021 ha richiamato il legislatore alle sue responsabilità verso i figli di coppie omogenitoriali nelle quali il solo genitore biologico veniva riconosciuto mentre l’altro, quello cosiddetto “di intenzione” pure avendo instaurato con il minore un legame affettivo consolidatosi negli anni, veniva ignorato dalla legge, con sicuro pregiudizio per il figlio.
Con la sentenza n. 131 del 2022 la Corte, in nome della parità uomo-donna ma anche al fine di realizzare il diritto del figlio a una piena identità personale, in cui confluiscono entrambi i genitori, ha consentito di aggiungere al cognome paterno quello della madre. La Corte è poi intervenuta per permettere anche nell’adozione “in casi particolari” l’instaurazione di rapporti di parentela con la famiglia dell’adottante, sino a quel momento impediti e invece necessari per un pieno inserimento nel nuovo contesto familiare (sentenza n. 79 del 2022).
Il caso portato alla Corte e deciso con la sentenza n. 183 del 2023 riguardava un minore in stato di adottabilità. La legge n. 184 del 1983 sulle adozioni dispone all’ art. 27, 3° comma, che “con l’adozione cessano i rapporti dell’adottato verso la famiglia d’origine, salvo i divieti matrimoniali”. La Cassazione si era rivolta alla Corte costituzionale perché riteneva che la cessazione di ogni rapporto, anche affettivo-relazionale e non soltanto giuridico-formale, con i componenti la famiglia biologica, senza possibilità di una valutazione caso per caso circa l’opportunità di non recidere, nell’interesse del minore, legami consolidati potesse ledere il fondamentale diritto all’identità personale presidiato dall’art. 2 Costituzione, nonché il diritto al rispetto della vita privata e personale garantito dall’art. 8 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo e valorizzato per il tramite dell’art. 117, 1° comma Costituzione.
L’adozione presuppone lo “stato di abbandono” del minore per l’inadempimento da parte della famiglia d’origine dei doveri di assistenza morale e materiale nei suoi confronti. La legge opera una presunzione non irragionevole secondo la Corte: il disinteresse manifestato nei confronti del minore da parte dei familiari originari giustifica la cesura di ogni rapporto tra essi e il minore destinato a integrare una nuova famiglia.
Tuttavia, precisa la Corte, questa presunzione non può essere assoluta ma deve poter essere superata quando il giudice competente per l’adozione accerti l’esistenza di legami affettivi consolidati con alcuni componenti della famiglia d’origine che vanno preservati, pena la compromissione di quel processo di rinascita che il minore si appresta ad affrontare con l’ingresso in un nuovo nucleo familiare.
È il caso, per esempio, dei fratelli e delle sorelle certamente incolpevoli, oppure dei nonni dell’adottando che per ragioni di età, di salute o economiche non hanno potuto farsi carico del minore e ai quali pertanto non può essere imputato lo stato di abbandono, presupposto per l’adozione.
La Corte decide quindi per l’infondatezza della questione a condizione che dell’impugnato articolo 27, 3°comma si dia una lettura che consenta al Tribunale dei minori di preservare, ferma restando l’esclusione di qualsiasi rapporto giuridico, le relazioni affettive tra l’adottato e quei membri del nucleo familiare originario con i quali esistano consolidate relazioni affettive.
Giovanni Cattarino
già Consigliere della Corte costituzionale e Capo Ufficio Stampa