Accade, sempre più frequentemente, che i lavoratori rinuncino al proprio impiego perché esausti dalle molestie e dalle vessazioni subite dai colleghi o dai superiori. Quelle condotte che oggi vengono definite con il termine di “mobbing”, dall’inglese “to mob” (assalire, molestare), e che hanno il preciso scopo di creare il disagio della vittima al fine di ottenere il suo isolamento o allontanamento. Ecco tutti i contesti in cui può verificarsi e come difendersi legalmente.
In Europa esiste una risoluzione del parlamento europeo sul mobbing sul posto di lavoro (n. 2001/2339) che rappresenta uno dei primi riferimenti normativi in tale materia, ma non è stata redatta alcuna direttiva che imponga ai Paesi membri di legiferare in proposito.
Attualmente in Italia non vi è ancora una legge specificatamente antimobbing. E tale fenomeno, quindi, non è configurabile come reato penale a sé stante. Nel Belpaese esistono comunque degli utili riferimenti normativi nello Statuto dei lavoratori /(legge 20 maggio 1970) che dispone:
Inoltre, l’art. 2087 del codice civile stabilisce che il datore di lavoro sia tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, siano necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
Ed esistono pure diverse sentenze della Corte di Cassazione che hanno condannato simili condotte, come la n. 27913 del 4 dicembre 2020 (“lavoratrice mobbizzata dai colleghi. Responsabile il datore di lavoro che non interviene per tutelarla”).
Il mobbing può verificarsi in più contesti:
in famiglia – Spesso, a seguito di separazione coniugale, uno dei coniugi mette in atto azioni vessatorie nei confronti dell’altro coniuge (come maldicenze, azioni tendenti a farlo sentire inadeguato, etc.) allo scopo di farsi affidare la prole;
nelle forze armate – episodi di nonnisno posti in essere dai superiori in grado nei confronti dei sottoposti o dagli anziani nei conti principalmente delle reclute;
nel lavoro – da parte del datore di lavoro, di un superiore o da dei colleghi nei confronti di chi si vuole fare dimetter. Tali azioni vessatorie consistono nel fare sentire inadeguata la vittima , demansionarla o altro;
nella scuola – bullismo da parte di uno o più studenti nei confronti di un compagno debole.
Dato che come detto sopra non esistono nel nostro Paese leggi specifiche che tutelino contro il mobbing, è arduo per il mobbizzato avere giustizia. Nell’ipotesi che la vittima da mobbing riesca a dimostrare il comportamento illecito dei suoi persecutori, può ottenere giudizialmente – nel caso di mobbing sul posto di lavoro, con un procedimento contro il datore di lavoro – le dimissioni per giusta causa e la possibilità difare richiesta di disoccupazione (NASpI). In questo caso il lavoratore interessato potrà presentare le dimissioni in tronco senza alcun preavviso.
Salvatore Freni